Caffè Corretto – La domenica del villaggio

Le domenica sera, quelle post partita, sono piene di partite di Serie A, di Premier League e di esports. La mia timeline social si spande su più piattaforme, si popola dei soliti rattrapage (il termine francese mettetelo da parte) di cartellini e commenti ciclostilati.

M’appaiono molti comunicati, spesso sembrano frettolosi, usciti nell’immediatezza del risultato. Giocano tutti bene, eppure perdono, sono ultimi in classifica o giù di li. Vien da chiedersi cosa accade quando giocano male.

Perché spesso il proprio meglio non basta, non è sufficiente. Se non se ne prende atto, si resta felici di prendere sportivamente gli schiaffi. S’assiste ad uno sport che si gioca sul campo e uno che sognate d’aver visto. Salvo poi svegliarvi con gli obiettivi stagionali, sfumati.

Un futsal popolato gli spalti, da spettatori, come a teatro. Arrivano per lo spettacolo. Una manciata di appassionati alla disciplina, si mischiano a parenti, amici, giocatori d’altre categorie.

Quelli, non stono tifosi ma astanti. S trovano li, per un motivo oppure semplicemente per caso. Ci sono quando l’offerta d’intrattenimento, compiace il loro senso estetico.

Il pubblico caldo, di tifosi è un animale, completamente differente.
C’è anche quando perdi, quando fai veramente schifo. Perché quello che accade sul campo si riflette moltiplicato sugli spalti. Parlo di quelli che, se perdi 2 a 0 alla fine del primo tempo in casa, ti sommergono di fischi.

Che ti urlano “Perso (si non è un refuso) di merda” dagli spalti perché non fai giocare il loro giocatore preferito.
Gli stessi che se chiudi zero a zero il primo tempo contro l’ultima in classifica ti urlano: “fuori le palle” e non importa che anatomicamente non tu non ne sia provvista.

I tifosi sono fumogeni in uno spazio chiuso, introdotti di nascosto. Non sono Piersilvio Berlusconi ai tamburi nel mezzo della Fossa dei Leoni. Sono le coreografie, sono la pressione anche ignorantissima, rivolta a chi è in campo. Non sono chiasso, sono cori.

Come in Francia. Ribadisco. Questo accade nel paese delle baguette attaccate alle selle dei motorini. Ai terroni in Normandia, quindi al nord. Quello stesso paese nel quale i giocatori dell’OM tirano bottigliette piovute in campo dal settore ospiti, di nuovo verso la curva.

La Francia dei derby, quelli che sono una questione di campanile, vera.
Che fanno sembrare il derby della Capitale, una passeggiata nel parco. Fatevi un regalo, andate a vedere un Lione – Sant’Etienne, il derby del Rodano.

Cercate su Youtube un Ajax – PSV al vecchio De Meer. Lo Steel Derby a Sheffield, una qualsiasi partita del West Ham, una in curva al Millwall. Attenti a quello che desiderate, perché potreste ottenerlo anche se fate di tutto per non averlo.

Provate a tirare la testa fuori dalla sabbia. Accade in Francia, nel futsal. Perché qui no? Non li volete davvero. Non c’è altra spiegazione plausibile. Perché quando qualcuno li ha voluti e coltivati, è successo.

S’è preso il bandierone in tribuna, io ero lì sotto con tanto di telecamera. S’è beccato però, anche i cori: “toglietevi le maglie”, i soldi sventolati all’avversaria rea di aver cambiato casacca. Tutto il repertorio ultras.

Lo spettatore, quello occasionale, che viene per lo spettacolo in campo, senza tifosi, viene a guardare uno spettacolo muto. Quella rappresentazione sportiva necessita di una colonna sonora. I tifosi, quelli veri, gli ultras, solo l’Ennio Morricone degli sport di squadra.

La Kop di Anfield è: “You Never Walk Alone”, quella del London Stadium quando giocano gli Hammers è “I’m forever blowing bubbles”. Senza, tutto quello che resta, nel migliore dei casi è brusio indistinto.

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Riguardatevi quelle immagini, di una squadra qualunque in Francia, in un campionato di futsal ancor meno rilevante della Serie A. Guardatelo bene. Perché se quello spettacolo è possibile li, ma non viene replicato qui, qualcuno è colpevole di questo. Gli indiziati maggiori, siete voi.

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