Caffè Corretto – Le cattive abitudini

La lega basket ha organizzato un corso per i cronisti delle sue dirette, partendo proprio dalla A2. Docente del corso gratuito, Matteo Gandini. Sarebbe una di quelle iniziative da copiare e incollare, almeno per una volta.

S’eviterebbe lo spiacevole rincorrersi di telecronache non alla partita ma all’operato dell’arbitro. Una sorta di “Pistocchismo” in tempo reale ma non su Twitter. Sebbene alcune decisioni dei direttori di gara siano indubbiamente capaci, talvolta di orientare la gara, preferirei ascoltare il racconto di quello che accade TRA gli interventi degli arbitri.

PalaRoma. Sole di traverso dalle vetrate. Giocare con il sole in faccia, in un palazzetto. Luci e ombre, tagli di luce sul parquet. Le mani sul viso per ripararsi, gli occhi socchiusi. Come in quegli stadi inglesi costruiti con le curve da est a ovest, invece che nord – sud.

Serie A femminile e via di corsa, verso casa. Abito abbastanza vicino da perdere solo i primi 4 minuti della finale dell’Europeo di Futsal. Con mia grande sorpresa il Generale ha il suo televisore sintonizzato su Rai Sport HD+. M’accoglie con un: “ma Portogallo – Spagna era la semifinale”, in un convoluto concentrato di una geografia calcistica così lontana da quella del futsal.

Brevi note biografiche sui partecipanti alla pugna. Mi chiede dov’è “quello, Zicky”, aggiunge un gesto con la mano come per spiegarmi che è quello secco e alto. Il talento della giovane stella lusitana si nota così tanto, che anche gli occasionali, imparano il nome.

L’avversario del Portogallo è la Russia. In questi giorni, la bandiera che sventola sul Cremlino evoca venti di guerra. In una famiglia di militari come la mia, sulle pareti capeggia un museo di memorabilia militari, dalla guerra del golfo alla Somalia, la geopolitica diventa inevitabile intermezzo.

Il Portogallo possiede la crudeltà delle grandi squadre. Quelle che ti lasciano anche credere che le puoi battere e poi ti abbattono. Con la determinazione di chi conosce i propri limiti, solo per valicarli. Di chi considera l’errore, un viatico di sofferenza verso la vittoria.

C’è una abilità che non ha nessuna rilevanza statistica, che non è misurabile, eppure riveste una importanza emotiva spesso fondamentale per vittoria sportiva.

Gli anglosassoni lo chiamano: “Playing in the Clutch”. L’abilità, la capacità di giocare al meglio, quando serve, sotto pressione, sul palcoscenico più importante.

In un contesto agonistico di massimo livello, spesso le abilità fisiche tendono ad essere livellate, quale elemento allora separa due contendenti? La psicologia sociale comportamentale, in particolare quella parte composta da matematici, da anni cerca di elaborare uno strumento capace di misurare la capacità di operare al meglio in condizioni di pressione fisica ed emotiva.

Per ora, noi privi della capacità di padroneggiare modelli matematici complessi, ci possiamo limitare a osservarla, nel momento in cui si manifesta. Quel gol tirato fuori, apparentemente dal nulla. Quella parata decisiva a 0.03 dalla sirena. Quell’aver trattenuto il pallone invece di cercare la rete. Il passaggio che smarca il compagno, invece del dribbling sull’avversario diretto.

Quanti momenti così in Portogallo – Russia. Si ripeto simili, in una meravigliosa connessione d’eventi, anche dall’altra parte dell’oceano. Sulle sponde del fiume Paraguay. Ad Asunción, l’Argentina in semifinale, batte ai rigori il Brasile e poi regola con un gol di Brandi, i padroni di casa, in finale.

C’era un tempo nel quale la Albiceleste sbatteva sistematicamente contro il muro verdeoro, facendosi anche piuttosto male. Qualche sconfitta dopo, sul trono del sub continente americano sono saldamente seduti gli argentini.

Il futuro è probabilmente portoghese, sarà anche per quelle date di nascita impresse su alcuni dei pilastri della nazionale di Jorge Braz.
Come si costruisce un futuro come quello, lusitano oppure argentino. Quali sono le ragioni che confinano una potenza calcistica come l’Italia, in un angolo remoto del futsal, dietro anche alla Finlandia.

Quando un giocatore brasiliano, suggerisce ad uno italiano, dopo un maldestro rinvio, di appoggiarla: “di testa al portiere”, mimando il gesto come fosse elementare. Forse, la distanza sportiva tra i due movimenti, è più profonda, ha radici diverse dalla mera condizione regolamentare.

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