Di una Coppa dell’Asia centrale puoi parlare se hai un buco da riempire. Così mi scrivi due righe, mi racconti che c’è e poi la seppellisci li. Nel mezzo di un mare stracolmo di notizie che galleggiano semplicemente, perché quelle tre righe in croce che le compongono, non pesano poi molto.
Oppure puoi raccontare com’è che posti che senza il gas, materia di scarto della produzione petrolifera, nessuno saprebbe nemmeno dove si trovano, si gioca a futsal. Ci giocano anche le donne. Provare ad approfondire, ad occuparsi davvero anche tra un ginger e una risatina, di comprendere qualcosa, per sbaglio, per una volta.
Com’è possibile che in Uzbekistan, Tajikistan e Repubblica Kirghiza, non solo si pratichi il futsal, ma che esistano delle nazionali femminili: under 15, under 17, under 19 e anche perché fermarsi qui, under 20.
Non rappresentative, non gruppetti di piccole donne raggruppate per fare numero. Nazionali, ufficiali.
Dov’è la nazionale under 15 femminile italiana? È una domanda semplice, diretta. Se questo sport è in espansione, come tutti raccontano, dove sono le praticanti agonistiche. Perché a sentire alcuni dirigenti, le poche che ci sono, sono state prese a prestito dal calcio, quando non erano giocatrici di tennis.
Cafa.tv
Il portale per seguire in diretta le partite della manifestazione. In una epoca come questa, davvero pensate che sia complesso tecnicamente realizzare una piattaforma per distribuire contenuti? È semplicemente una questione d’investimento.
Quando osservo con attenzione, foto come questa, non è solo l’hijab che mi colpisce. È il movimento, il gesto atletico con l’hijab. Non pretendo di comprendere, una cultura che non m’appartiene, una espressione di società diversa dal mio radicato essere europeo. Quella è una normalità diversa dalla mia, nella stessa misura in cui la mia è diversa se ad osservarla sono altri.
Guardo la nazionale iraniana giocare, nessuna parte del loro corpo è scoperta. Ad ogni contrasto il rischio che si scopra il capo. Una preoccupazione che non hanno altre atlete, quelle che giocano la domenica nei palazzetti di questa Italia. Com’è che scriveva Michael David Rosenberg: “you only need the light when it’s burning low”. Mi scuso se non ho riferimenti all’indie italiano. Insomma ci accorgiamo d’un bisogno, solo quando ne veniamo privati. Ci accorgiamo di un privilegio quando ne vediamo altri, privati.
Forse cercavo un miracolo sportivo dalla parte sbagliata. Dovevo guardare così ad est da arrivare nella steppa. Dove qualcuno ha costruito qualcosa, che durerà nel tempo. Quelle quattordicenni, diventeranno donne e saranno il prossimo presente del futsal, nel loro paese.
A comprarlo un futuro, sono capaci tutti. Devono solo avere una grossa disponibilità di denaro. Pensare invece, con quello stesso denaro, di costruirlo un futuro, ecco, forse questo non è da tutti. Probabilmente, per desiderare di costruire un futuro, qualcuno deve averti prima negato quella speranza.