In uno spazio finito di spettatori, tutti concorrono per lo stesso tempo d’attenzione. Domenica 26 Dicembre 2020. Sunday, Santo Stefano. La tempesta perfetta, per ogni sportivo del pianeta. Premier League e NFL Sunday Football.
Almeno in apparenza.
Perché davvero, chi credete che abbia visto Brighton – Bretford, alle 21.00. Ultimo incontro della giornata di campionato inglese. Certo c’era perfino una percentuale di spettatori impegnata a vedere Baltimore Ravens – Cincinnati Bengals, rilevante come un La Spezia – Venezia qualsiasi.
In molti considerano lo spettatore, un elemento moltiplicatore. Come se si potesse scindere più volte in elementi più piccoli, capaci di seguire più eventi d’intrattenimento contemporaneamente. Quelli che gli inglesi chiamano “viewership” è nella realtà dei fatti, un numero finito.
Non parlo, badate bene di tifosi. Quelli che restano sugli spalti sotto alla pioggia a seguire la propria squadra del cuore già retrocessa nell’ultima giornata di un campionato che li ha visti non riuscire a vincere nemmeno una sola partita. Quella particolare tipologia di fruitore, soprattutto sportivo, negli anni s’è tentato di isolarlo, diminuirne l’importanza, marginalizzarlo insomma.
Questo cosa ha generato? La SuperLega. Perché lo spettatore, paga per essere intrattenuto, per godere di uno spettacolo. La sua passione è strettamente legata alla qualità delle emozioni che riceve quando è comodamente seduto al suo posto. Ecco perché, il grandi club del calcio, per tenere gli spettatori che hanno coltivato con così poca attenzione si sono accorti che era necessario offrire loro costantemente, un intrattenimento di altissimo livello.
Non solo, era necessario offrire una ragione d’interesse che potesse competere con le altre forme d’intrattenimento disponibili sul mercato. Ecco quindi le controversie, sui contratti degli sportivi, sulle loro vite private. La necessità d’alimentare una macchina che consuma informazioni a ritmo vertiginoso è diventata impellente.
In una società dove il capitalismo realista è asceso a imperativo imprenditoriale, non si può sfuggire alle dinamiche che da sempre regolano il mercato. Produrre lo sport, non è diverso da produrre “Uomini e Donne”, se lo pensate, allora probabilmente il fallimento della vostra impresa è inevitabile.
Nel futsal, avete come idolo Georgie Best. Promuovete però uno sport fatto di soli buoni sentimenti, dove sono tutti bravissimi, capacissimi e non perde mai nessuno. Vi chiedete come mai non vi guarda nessuno. Perché non si riempie un palazzetto per guardare una sfida tra ultime delle classe? Perché qualcuno dovrebbe seguire un balletto dove la prima etoile ha 41 anni? Eppure si leggono di rinforzi ottuagenari per salvarsi dalla retrocessione, nella massima divisione.
Quanti Falconara – Pescara potete mandare in scena in una stagione?
Quanti Pesaro contro Pesaro?
Quante Final Four di UEFA Champions League?
Lo spettatore non paga per guardare la sua squadre perdere, c’è per essere partecipe di un successo nel quale può identificarsi. Per gli insuccessi c’è la sua vita, assiste a quel genere d’intrattenimento gratuitamente.
Quanto costa disputare due volte l’anno un Falconara – Pescara, un seicentomila in totale, così butto lì una cifra. Se lo spettatore è fortunato assiste ad un totale di sette partite tra queste due squadre, in una stagione. I nomi possono cambiare, altro male del futsal. Il fondamento dell’intrattenimento no.
Avete idea di quanto costi un singolo evento?
Vi siete davvero chiesti perché una donna in una piscinetta in bikini faccia diciassettemila spettatori di media in diretta, tutti i giorni?
Non è solo una questione di dove l’evento viene trasmesso, c’entra molto il come viene prodotto.
Mercedes – Benz costruisce la sua prima “Gaming House” per un suo team di eSports. Lo presenta e lo lancia come se fosse un team di Formula Uno. Se la vostra disciplina è così meravigliosa, fantastica, piena di talento, com’è che la Mercedes vi snobba?
Rispondere a queste domande, è fondamentale. Comprendere le dinamiche che regolano l’intrattenimento digitale, è vitale. Nel futsal i presidenti pagano per far parlare delle proprie squadre. Vengono riciclate sempre le stesse storie, annualmente a cadenza così regolare da poterle calendarizzare. Le controversie, evitate come la febbre emorragica.
Volete un esempio?
Presidente di Serie A. In estate arruola così tanti stranieri da doverne mandare una parte in tribuna. Alla fine del girone d’andata, ne liquida la metà e ne acquista di nuovi. Cosa sarebbe accaduto nel calcio? La macchina dell’informazione avrebbe analizzato l’accaduto, offerto opinioni. Avreste letto probabilmente titoli come: “Campagna acquisti fallimentare”, oppure “Gli errori del direttore sportivo”.
Nel futsal? Nulla di tutto questo. Una cronaca che non è altro che l’elenco di chi parte e chi arriva. Semplice, indolore. Interessante come fissare le mattonelle bianche del proprio bagno mentre si è seduti sul water. Le ragioni che generano questo tipo di comunicazioni sono palesi. Non c’è un pubblico disposto a sostenere economicamente la comunicazione. Perché è abituato a riceverlo gratis, perché la qualità non giustifica la spesa.
Il futsal vorrebbe essere il calcio, senza le controversie che l’hanno reso universalmente conosciuto. Un basket con i piedi ma senza i palazzetti pieni di tamburi, di insulti e di fumogeni. Una pallavolo ma con due reti all’estremità ma con una base che gioca ad uno sport differente.
Senza rendere mai palese, chiara, riconoscibile, la risposta alla domanda: “Perché ti devo guardare?”.
Se continuate a pensare che basti un dribbling, l’ennesima storia del mulino bianco o l’intervista post partita infarcita di luoghi comuni, continuerete ad essere felici per un palazzetto pieno sono due volte l’anno.
Buon ottovolante, ogni partita è una finale, siamo sulla strada giusta e siamo una famiglia, a tutti.