Vincere è un obbligo, difficile da assolvere

In viaggio nella direzione opposta a quella del Natale. File in autostrada di persone che tornano a Sud, per le feste.
I camion, i rallentamenti e le code. Un giorno che parte senza pranzo e si mangia chilometri. Punteggiato da dischi di vinile gialli, rossi e insomma di quei colori che li rendono collezionabili.

Falconara, Pala Badiali e il metano a 2.19 che probabilmente è estratto direttamente a Chiaravalle oppure contiene pagliuzze d’oro come una di quelle miniere scavate migliaia di volte in Alaska. Attrezzatura al seguito delle grandi occasioni, compresa la T2 di Marco, che poi in realtà è presa a prestito da sua madre.

La Supercoppa Under 19 alza il sipario, di questa lunga giornata. Una occasione per provare qualche pezzo nuovo, stabilizzatore, luci e microfoni. Per osservare, non tanto il risultato, quanto le protagoniste. Dovrebbe essere questo, il fine di una manifestazione giovanile. Valutare quante delle giocatrici in campo, sono un prospetto. Quante di loro è possibile immaginarle al livello successivo.

Per le coppe in simil plastica, o come questa che è in metallo tranne la base, c’è sempre tempo. Una intera vita sportiva, che sebbene scorra in fretta rappresenta comunque un’ampia finestra di vita. Il risultato sembra in bilico, almeno per un po’. Le ragazze di Bergamo, sono però come quei mezzofondisti che quando strappano in avanti, in vista del traguardo, non le prendi più

Come fu per Greta Ghilardi, nella scorsa edizione delle Finals Under. Ecco che a calciare in porta e fare gol, spesso, c’è questa giocatrice dell’Accademia Bergamo. Le scatto una foto, al solo scopo di avere un viso da poter girare a chi può fornirmi dalla Spagna le sue generiche generalità. Alice Volpe, 2002. Una tennista, prestata al parquet.

Segna il suo primo gol, lo speaker la chiama credo Valentina, insomma con un nome diverso dal suo. Al secondo, lei prima festeggia, poi mentre si rimette in posizione in campo, alza il dito verso la tribuna. Fa segno di no allo speaker, scambio veloce tra i due e lei riesce a riappropriarsi del suo nome.

Marco mi chiede dov’è il portiere dello scorso anno. “Quella piccolina, con i guanti”. Rispondo, la colloco nella squadra giusta e lui sembra perplesso. Raccontare delle protagoniste, rende i risultati passeggeri. Le vittorie come le sconfitte passano, le gesta e le storie degli atleti, quelle rimangono per sempre.

Pausa pranzo alle 17.00, precise. Panino con la salsiccia per me, per Marco quello con la specialità della casa. Rimpiango subito la scelta e parte la scena della pizza di “Strappare lungo i bordi”. La tipa con i capelli blu che m’ha servito il panino mi dice che per pagare c’è “la tipa con pecora”. La mia mente si popola di luoghi comuni da caserma, in fondo sono cresciuto lì, mi ricompongo e riesco a pagare.

Il Falconara vince, perché è quello che è stato costruito per fare. Sveste per sempre i panni che indossava solo qualche stagione or sono. Gli stanno stretti ormai, sono un po’ lisi e decisamente fuori moda. Il Città di Falconara è la squadra da battere, quella che si può battere da sola e che difficilmente permetterà ad altri di realizzare tale l’impresa.

Il fragore del pubblico, dell’esultanza ai gol. I cori, quelli contro come nelle manifestazioni “grandi”. I due tabelloni con le immagini dei giocatori che scorrono, lo speaker, i coriandoli luminosi e le luci ma quelle giuste. Un palazzetto vestito a festa dimostra che si può, creare spettacolo. Ora non resta che farlo, sempre.

Nello sport, vincono i più forti. Quelli con più talento, voglia e carattere. Accade anche d’assistere a quegli eventi rari, ad un cigno nero. La teoria del cigno nero è una metafora antica che esprime il concetto secondo cui un evento raro, imprevedibile e inaspettato (che può essere positivo o negativo) con un forte impatto sull’andamento della storia, è una sorpresa per l’osservatore. Una volta accaduto, l’evento viene razionalizzato solo a posteriori.

Ho solo istantanee di lacrime. Sarà perché mi è più facile per assonanza temporale di sentimenti, sarà perché il carro dei vincitori è sempre affollato e spesso popolato dagli interpreti sbagliati. Ho però incastrati tra i ricordi, il sorriso di Taty che mi mostra orgogliosa il trofeo MVP, accompagnandola con la frase: “hai visto, ho vinto un altro premio” e la felicità è più grande se è condivisa. L’altra istantanea che non ho perché questa volta lo scatto è orribile, è quella di Debora che esulta. A bordo campo con le braccia al cielo e la sua reflex al collo. Ancora, la gioia condivisa.

Ripartiamo, tra i film di Franco Nero. Spaghetti western, Sword and Sandals e le lezioni di geografia.
“Vuoi che guido”, seguito da un “guarda che ho la patente da un po’ e non l’ho trovato nelle patatine”.  Quasi dimenticavo. Auguri a chi ha preso proprio nel giorno della sua prima Supercoppa, anche la patente.

Ci lasciamo alle spalle, quelli che festeggiano e quelli che spiegano. Quelli che comprano bottiglie di vino e potrebbero acquistare una cantina e anche il palazzo che la contiene e farvi fare il suo nano da giardino.
Storia di vincitori e di perdenti. Giusto così. Se vincessero anche gli sconfitti, a chi dovrebbe importare delle partite.
 

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