Il fiasco formativo

Il talento è un accidenti di vita. Spesso non si rivela palesemente. Nello sport, capita di rado d’incontrarlo, riconoscerlo e aiutarlo a crescere. La nazionale di calcio di Roberto Mancini, dopo il fallimento della qualificazione diretta a Qatar 2022, s’è ritrovata assediata.

Da quelli che proponevano, nuove leve per l’anemico attacco degli Azzurri. Tra i nomi proposti per l’Italia di calcio, quelli di alcuni giocatori, il cui talento è esploso nel Bel Paese. Disposti a indossare la maglia azzurra, stanchi d’attendere una convocazione da un paese, quello in cui sono nati, che li snobba.

Credo che il talento sportivo non abbia nazionalità, esista e possa scegliere di rappresentare la nazione alla quale sente di appartenere. Esistono delle regole che lo permettono. Reclutare il talento ovunque si trovi non è solo una necessità, è un dovere. Il diritto traccia linee su una cartina, non sui sogni e tantomeno sul vantaggio competitivo.

La naturalizzazione del talento, rappresenta non una questione politica o sociale. Identifica un fallimento, quello del sistema formativo italiano. In un paese come l’Italia che nell’ultimo decennio ha scelto, di creare il business delle scuole calcio, non può meravigliare questa penuria di talento.

Le scuole calcio, sono divenute fucine di quote d’iscrizione. Kit di maglie di una squadra famosa, un paio di ragazzi sottopagati a dirigere gli allenamenti. Sono semplici gli elementi che permettono grazie ad una affiliazione d’alimentare una fabbrica dei sogni, il cui scopo principale è generare profitto.

Nel 2019, si stimava un giro d’affari intorno alle Scuole Calcio, di circa 2,5 milioni di euro di ricavi. Non c’è nulla di scandaloso, nel guadagnare denaro. Si crea un valore, si monetizza un sogno, si alimenta una speranza. Le religioni lo fanno da millenni, non vedo perché ci si debba sorprendere se anche la fede del pallone segue un percorso simili alle grandi confessioni monoteiste.

Il sistema s’è semplicemente adattato, rispondendo al suo bisogno di sopravvivere e poi prosperare. La natura legislativa dello sport dilettantistico rende complesso monetizzare il talento, individuale. Per questo s’è scelta una strada diversa. L’istruzione diffusa e di gruppo. La quantità invece della qualità.

In una Italia nella quale esistono anche Scuole Calcio ELITE (scritto tutto maiuscolo), si cerca spesso il talento all’estero, facendo però prima una capatina al cimitero in cerca di qualche avo. Una naturalizzazione sportiva non si nega a nessuno, da nessuna parte.

Se il fine ultimo è la vittoria, non importa dove è nato quel talento, l’unica domanda alla quale è necessario rispondere è: “mi garantisce un vantaggio competitivo?”. Non raccontiamoci delle menzogne per non ferire gli animi miseri. Scoprire e coltivare talento è una missione senza un risultato sicuro. Altamente costosa, spesso infruttuosa e comunque a lungo termine. Impresa di necessità, in paesi senza grandi risorse economiche.

Non c’è un raccolto sicuro ogni anno, non importa quanto siete bravi a seminare. Il sistema dilettantistico italiano, al quale il futsal è ancorato, impedisce anche di monetizzare legalmente un investimento spesso lungo almeno dieci anni. Avete idea dei costi, sostenuti, del valore di rischio di una impresa come questa?

Queste sono ragioni che spiegano, forse, un fallimento. Non lo giustificano.
Nonostante questa gestione aziendale tanto del prodotto calcio, quanto del prodotto futsal, esistono esempi virtuosi. I talenti continuano ad emergere.

Nel futsal, la Fenice Venezia-Mestre. Capace di creare una struttura di sviluppo giovanile, che poi alimenta con successo anche la prima squadra. Ci sono giocatori, italiani, di riconosciuto talento. Vincolati da una legislazione e un mercato che ne limita, spesso ne impedisce la valorizzazione. Salvare il soldato “B”, capace di segnare tanto in A, quanto in A2, dovrebbe essere una priorità, prigioniero di accordi che non doveva prendere, mai.

Meno costoso però, pescare all’estero. Si, è anche una questione di soldi. Lo è sempre, perfino nella Cina di Xi, figuratevi in un paese a capitalismo avanzato. La passione come combustibile del futsal è una realtà che vive nello spazio tra il pensiero d’investire in perdita e l’istante nel quale il presidente di turno tira fuori i soldi.

Se il sistema formativo italiano è sostanzialmente fallimentare, non c’è altro viatico per la vittoria che reclutare il talento e poi trovargli un passaporto. Se oggi s’iniziasse un percorso virtuoso di formazione, prima di vederne i risultati potrebbero passare almeno dieci anni. Nel futsal, come nel calcio, la pazienza è una debolezza, non una virtù.

Per vincere domani, le strade sono sempre due. Una è quella meno battuta. Perché comporta guardarsi in faccia, riconoscere gli errori, la povertà di talento e cercare una soluzione. Ci sono due approcci al problema, mettiamo il bus davanti alla porta e ripartiamo in contropiede. Oppure, scegliamo di essere l’Argentina di Giustozzi, li andiamo a prendere alti, li pressiamo nella loro metà campo.

Il futuro è degli incoscienti, dei visionari e di quelli che preferiscono abbracciarsi quando si vince. Capaci di riconoscere pubblicamente la mancanza di talento e porvi rimedio. Con soluzioni concrete, con creatività. Quella di chi non ha nulla da perdere, perché in fondo, si perde già, sul campo.

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