Questo è un tempo di profondi cambiamenti, economici e sociali. Mutamenti che coinvolgono anche lo sport. L’intero spettro delle attività agonistiche. Non è più possibile, perseguire un modello di crescita alimentato da mecenati.
Per almeno due generazioni, il calcio ha goduto di presidenti che investivano ingenti somme di denaro, in società sportive in perdita. Per prestigio, per passione, per rivalsa sociale.
Un modello sportivo defunto. Così come giace comatosa, la struttura che lo regolamenta e sorregge. La piramide che dovrebbe premiare il merito sportivo, è in realtà regolata nel suo accesso dalle risorse economiche. La promozione nella massima divisione, costituisce un enorme salto in avanti in termini tecnici e di risorse finanziare.
Il famoso “paracadute” applicato nel calcio, è stato uno degli espedienti fondamentali a permettere alle squadre di sostenere l’eventuale immediata retrocessione nella divisione inferiore. La natura della competizione sportiva, rende questo business altamente rischioso, per quanto potenzialmente molto remunerativo.
Ogni retrocessione comporta un enorme danno economico. Proprio in funzione di una promozione precedente che ha aumentato i costi di gestione. Indispensabili per sostenere una competitività, seppur minima. L’elemento volatile dei risultati, l’inesistenza di strumenti in grado di misurare il talento, rendono il risultato di una competizione, imprevedibile.
Per evitare quindi di veder vanificati, in una manciata di mesi, gli sforzi di una società, di un collettivo di imprenditori ma anche di un solo grande investitore, in molti sport, non esistono le retrocessioni.
Anche in Italia.
Nel football americano. Proprio così.
Ebbene, continua in quella disciplina, a sussistere la possibilità di ottenere l’accesso alla massima divisione, assicurandosi il titolo nella categoria inferiore. Non c’è obbligo, anzi. L’ingresso nel campionato principe è regolato principalmente da un bando. A fronte di determinate caratteristiche, si può chiedere di partecipare. Consci dell’impegno anche economico.
I presidenti dei club di prima divisione hanno fondato la IFL, Italian Football League. Nella sua seconda incarnazione, rappresenta un nuovo modello di gestione sportiva. Sostenuta sempre da una organizzazione federale, la FIDAF. Riunisce però i club della massima divisione in una sorta di consorzio. I soldi impiegati per disputare il campionato di prima divisione sono dei presidenti. Perché dovrebbero essere altri a decidere, sulle questioni anche normative più importanti. La IFL è anche un contenitore unico, per l’immagine del football americano italiano di vertice, profondamente diverso da quello di base.
Se è possibile che una piccola federazione, semplicemente affiliata al CONI, una DSA, sia capace di una visione di prospettiva così ampia, cosa impedisce al calcio a 5 di progettare in maniera simile il proprio futuro. Perché i presidenti di Serie A, non si compattano in una Lega Serie A, che permetta loro di gestire le risorse che investono nella maniera che ritengono più corretta?
Un campionato di Serie A, senza i presidenti che investono i propri denari, non esisterebbe come competizione. Non a quel livello. Quei pochi che vanno al palazzetto a guardare una partita, lo fanno per i giocatori in campo, non per la patch sulla maglia. Una denominazione non muta lo spettacolo sul campo.
First division, Premier League, Premiership. Quanti nomi per la massima divisione inglese nel corso degli anni? Senza i fondi americani, i soldi degli emiri, quelli degli oligarchi russi non ci sarebbe oggi il campionato più bello del mondo.
In difficoltà economica, come altri sport, condannato spesso da una struttura vetusta e dalla guida federale di parrucconi incartapecoriti.
Lo sport si evolve, in tutte le sue componenti, forse è giunto il momento per modificare non solo la sua struttura normativa, ma anche quella organizzativa. Perché a decidere siano quelli “che ci mettono i soldi” e non quelli che vi raccontano di avere in tasca la pietra filosofale.
Un caffè al vetro, è sempre un caffè. Cambia solo il contenitore. Contenitore diversi non cambiano la natura in questo momento del calcio a 5. Disciplina nella quale è impossibile creare profitto. In una economia di mercato, anche lo sport s’è dovuto inchinare a questo principio. Se non si generano ricavi, si è destinati a fallire. Non importa quante coppe di plastica ci sono in bacheca. Questa è una lezione che il calcio a 5 italiano, conosce bene.