Nel mio fortunatamente breve passaggio, attraverso il sistema scolastico italiano, avevo un professore e il suo cognome era Verzulli. L’odiavo giustamente, con un sentimento adolescenziale originato da quella sua aria supponente. Il tipico atteggiamento di chi era capitato li, sono per sfortuna. Il suo disdegno per l’insegnamento era paragonabile solo al mio, per lui.
Quando m’è stato detto d’ignorare qualcuna che aveva lo stesso cognome, ho reagito con una sorta di riflesso condizionato. Il cervello di un uomo è semplice, come le dicotomie alle quali s’affida. Bianco o Nero. Archiviata questa catalogazione, non mi sono più chiesto se fosse giusta o sbagliata.
Comodamente ai margini della mia attenzione, Giorgia disputa la sua prima stagione in Serie A, a soli diciannove anni. Quando la disciplina aveva appena concluso la sua fase pionieristica. Le giocatrici da oltreoceano iniziavano ad approdare nel belpaese, il movimento cercava una identità che forse non ha ancora trovato.
Il gorgo rappresentato dalla A2 e dalla C, avvolge con il suo incessante mulinello centinaia di atlete, di appassionate, di giocatrici. Per qualche tempo Giorgia, per me, è la sorella di Fabrizia che milita nel Città di Falconara, in A.
Fino ad un messaggio, su IG. Nel quale Giorgia, si definiva una rompiballe, più o meno. Quelle lettere sullo schermo hanno avuto l’effetto di ridisegnare completamente il percorso che portava il mio pensiero a lei. Ha eliso la sua catalogazione. Ho quindi risposto, incuriosito.
Riuscire ad incontrare Giorgia è difficile. Ho trovato meno difficoltà nel prendere appuntamento con l’idraulico oppure l’elettricista. Spesso è colpa del pignone dello sterzo della sua panda, altre volte delle giornate convulse che una giocatrice di Serie A vive. Se vuol provare a giocare ad un livello minimo di decenza. Gli orari ruotavano con una frequenza vorticosa. Più facile capire a che ora inizia una partita di futsal.
“Hai qualcosa contro Pescara?”, mi chiede. Non dovrei essere io a fare le domande? Il suo corpo ruota leggermente sulla sedia, un movimento quasi impercettibile. Negli occhi le si legge, l’orgoglio di chi ama la città in cui vive. La terra che calpesta. Questi sono i suoi luoghi, è la sua vita.
Sorrido, tra i miei pensieri. Non perché mi sono accorto dell’importanza di quella domanda, del suo essere pronta a scartare l’intero incontro, se avessi risposto con quei luoghi comuni finto borghesi tipici della provincia italiana. Perché lei ama questa città con quell’attaccamento “country”, che solo chi ha deciso veramente di viverla può avere.
Ha speso gran parte del suo percorso sportivo, sui campi di questa regione, di questa città. È andata su è giù per la scala delle serie minori, giocando per amore e per passione. Alla ricerca di se stessa, di una strada che non passa obbligatoriamente dalla vittoria. M’affascina sempre, questo percorso di vita e di sport, che non comprendo, ma rispetto.
Se osservate Giorgia parlare, v’accorgete della solidità della donna.
In campo assomiglia a quel giocatore alla Di Livio, un Pessotto senza la depressione. Uno che può giocare, che non ti spacca le partite, non te le fa vincere ma nemmeno perdere. Come amava dire Arrigo Sacchi dell’esterno bianconero: uno che sa di calcio.
L’associo però, con uno strano inseguirsi di pensieri a Giustiniani. Il portiere dello scudetto dell’Olimpus di D’Orto, quello al femminile.
“Che ci fai a scienze politiche”. Lo chiedo a lei, esattamente come l’ho chiesto altre volte. Affascinato da un percorso di studi che potrebbe condurti a stare sei mesi, sotto le bombe di mortaio. Giorgia si risistema sulla sedia, come se un moto di fierezza, abbia raddrizzato la sua colonna vertebrale, fino a cambiarle lo sguardo. Come quando con un colpetto sistemate i libri nello scaffale.
Mi racconta dei suoi sogni, del suo percorso di vita. I suoi perché, quelli a cui ha dato una risposta, quelli per i quali cerca ancora una risposta. La consapevolezza di non sapere, di aver cambiato se stessa perché ha scelto di farlo. Risuonano nel mezzo delle sue parole. Ogni sillaba ha la semplicità di chi non si trova dov’è per caso ma perché ha scelto di farlo. Mentre finisco il limoncello, perché l’alternativa era la coca cola biologica, parliamo di libri.
Finiamo poi con il percorre la sua strada di gioco “che è per i maschi”, perfino in famiglia. In compagnia di una delle sue sorelle. La più piccola, ma solo all’anagrafe, ha invece i piedi per uscire dalla doccia e a volte basta questo nella vita. Essere riuscita a vivere della sua passione, mentre in molti suoi coetanei restano aggrappati a precarietà peggiori, le dona una tranquillità che s’espande intorno a lei. Diventa una sorta di aurea.
Posto pericoloso quella parte di mondo. Nei pressi del suo cuore e del suo cervello. La sua curiosità è funzionale a stabilire come un perimetro intorno a se, nel quale si può entrare solo se si posseggono risposte simili alle sue. Il tempo scorre sul cronometro di questa partita a due, senza avversari ma nemmeno nella stessa squadra.
Il tempo è qui a fare da arbitro, l’allenamento incombe. Ho scelto di raccontare lei, l’ho inseguita tra i mille orari che cambiavano. Quando l’ho trovata, m’ha fatto pensare a quelle piccole cittadine nelle quali la vita scorre semplice solo a livello dell’apparenza. Sotto quella linea di galleggiamento emotivo, vivono grandi emozioni.
Si alza, fa un passo per andare via.
Si volta. Ha un ultimo pensiero da rivolgermi.
Non importa come ci siamo trovati seduti qui, importa raccontare una storia, la tua. Una che è come tante forse, eppure unica.
Giorgia è una come voi che non sapete bene qual è il vostro sogno. Sapete che però è li. Da qualche parte oltre i mille ostacoli, i luoghi comuni, le convenzioni sociali. Lei ha scelto la sua strada, una delle mille possibili. C’è anche la vostra, spesso nascosta tra false promesse, ma c’è. Giorgia né è la prova.