Ho scelto il 3

L’odore che s’avverte nell’aria è quello di legna bruciata. Di muri che si riscaldano, di foglie accartocciate in terra.
Patrizia è in piedi, nel cortile di casa. Il cane scodinzola vicino alle sue gambe, mentre l’orizzonte si nasconde dietro alle montagne. La pioggia che le cade sul viso ha l’odore del cielo.

L’alba della tua prima partita ufficiale. 

Vorrei poterti regalare un Nicola Ugolini, per accompagnarti. Al quale chiedere aiuto, in panchina.
Dovrebbe essercene uno in ogni campionato di Serie C. Sperare di averne almeno uno in una Serie A, non credo sia nemmeno “sognabile”, come avrebbe detto l’ex presidente della Divisione Calcio a 5, Montemurro.
Perché lui, Nicola, prova a contenere tra le sue braccia tutte le vite che può. Spesso anche quelle che non può.
Avrebbe abbracciato anche la tua e non solo quella sportiva.

Il tuo calcetto è un desiderio di libertà. Ad ogni fitta al cuore, quando mi racconti delle porte sbattute in faccia, io penso ad un Nicola che quell’anta l’avrebbe tenuta aperte, non importa come ma sarebbe stato per sempre. Quel campo, d’erbetta sintetica all’aperto è il tuo posto del cuore. Vanno riempiti quei luoghi di pensieri felici, e di persone capaci di fare magie, che ti permettano di volare.

Mi torna alla mente, lo Shoeless Joe Jackson di Kinsella, che chiede: “ma questo è il paradiso? No è l’Iowa”. Forse è così, esattamente così. Il paradiso è quel posto dove si realizzano i sogni. Sono luoghi improbabili forse ma per questo meravigliosi. Eccolo, il tuo. Nel quale non devi per forza essere adulta. Puoi essere Patrizia, semplicemente. Con una abrasione che percorre metà del tuo corpo e pulsa dove non batte il sole.

Nel quale puoi sbagliare, puoi lasciare libera la bambina che hai nel cuore. Libera. Dalle preoccupazioni di ogni giorno, puoi sorridere. Una ragazzina alla quale nessuno può spegnere un sogno. Quando lo liberi si prende tutto lo spazio anche se fosse solo per quell’unico istante. S’attacca ad altri sogni e diventa più grande.

“Mi sono divertita tantissimo”
“Però quanto mi sono divertita”

In mezzo le foto della tua gamba martoriata, il racconto della battaglia. “Perché noi donne non ce le mandiamo mica a dire”. Il numero 3 sulle spalle come Alia Guagni, l’esterno dell’Atletico Madrid, quello vero.

Hai vinto. Segnando un gol, mentre cadevi. Contro la squadra del tuo paese, alla quale hai detto no per giocare dove sei ora. Ho esultato per te e con te. In attesa di poterlo fare dal vivo, insieme a tutti quelli del “pub” che sono diventati i tuoi primi tifosi. Pensa hai anche un fan club, disagiato e scellerato.

Ventisette anni, in attesa di qualcosa che “non succede ma se succede”, m’obbligherà a farla questa lunga trasferta, per raccontarla dal vivo quella storia e per abbracciarti. Soprattutto per abbracciarti. L’emozione di una vita spesa dietro ad un sogno è sempre difficile da raccontare, le parole scappano via e si nascondono dentro al cuore. 

Piove, ma non la sento la pioggia sul viso.

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