Il Pescara contro la Lazio, in casa. Se questo fosse il calcio, avrei visto cordoni di polizia dispiegarsi intorno allo stadio. Se ne sarebbe parlato in settimana, sui giornali locali. La Nord si sarebbe riempita due ore prima della partita. Anche di venerdì sera, sotto questa pioggia tipicamente novembrina.
Sugli spalti del Pala Rigopiano, si rivede “Manicomio 00”, come la farina. Fedelissimo delle ragazze abruzzesi. Tre tifosi in tutto, due in più della maschile che conta solo “il roscio” e in totale un terzo dei Viking Pesaro. Non male. Primo effetto del cambio di denominazione, sono i cori. Può attingere ora Manicomio, all’intero e sconfinato repertorio proprio della Nord dell’Adriatico. I colori della squadra di futsal sono il bianco e l’azzurro, soprattutto l’azzurro. All’improvviso in mano ai tre tifosi spuntano anche le sciarpe, quelle del Pescara, con il classico logo dei Pescara Rangers.
Facile e indolore. L’aveva capito qualche anno fa Iannascoli Sr. Sfruttandolo a tal punto da portare i ragazzi marginalizzati sugli spalti dello stadio nella “curva” del Papa Giovanni in occasione dei Play Off. Fu come realizzare all’improvviso che si stava guardando un film, senza l’audio.
Sono qui per guardare giocare Nathalia. Uso solo il nome perché ad usare il cognome ci pensano già quelli che di questo sport ne sanno più di me. Praticamente tutti. Salta l’uomo la brasiliana, sistematicamente. Sembra un Edu ma con un due in più sulla maglia. Sono subito orfano di Jessika, del suo sinistro. Assiste alla partita a pochi metri da me.
Boutimah a tratti assomiglia a un Bobo Vieri, costantemente in forma. Si libera e segna. Come l’ex centravanti, di così tante squadre che per elencarle occorrerebbe un articolo a parte, è efficace con una essenzialità che è un diverso tipo di eleganza. La mia attenzione si ferma però su Ludovica, ancora.
Qualche tempo fa, in un campetto tra le colline, giocava un ragazzino di Lettomanoppello. Un paesino nell’entroterra pescarese. A guardarlo giocare nelle giovanili del Pescara, c’era mezza città. Dopo dieci minuti, t’arrivava dal campo quell’onda di straordinarietà, tipica dei momenti unici. Capivamo tutti che quello che stavano guardando non era la normalità. Stavamo guardando crescere il talento, uno di quelli capita una volta ogni generazione.
Ludovica è come Marco, Verratti. Il campo per lei sembra più piccolo. Le giocate più semplici. Il dominio così assoluto del parquet che mi chiedo se Claudia Pons la convocherebbe per la nazionale spagnola. Ho visto giocare dal vivo Frank Rijkaard, lei è così. Come il più forte degli olandesi.
Al cambio di campo, mi ritrovo ad osservare di profilo, Ana. Quando rilancia il pallone. Quel movimento l’ho visto così tante volte, da sembrare giusto in un contesto sbagliato. Ho visto giocare quarterback con meno efficacia e pulizia nel movimento di lancio. Sarebbe stata un gran giocatore. Anche di football americano.
Le ragazze della Lazio accanto a me, trafficano con il telefono. Orgogliosamente riacquistato con “i miei soldi, ho lavorato questa estate”. Il furto subito nello spogliatoio solo una settimana fa, lascia strascichi, soprattutto economici. Non ha la fotocamera che vorresti, ma per quella forse è meglio acquistare una reflex.
Amparo ha all’improvviso dieci anni di meno, per lunghi tratti dell’incontro. Aida toglie le ragnatele all’angolo basso della porta lontana da me. Fuori continua a piovere, a tratti è un sottile velo. Di quelli che ti si poggiano sul viso e odorano di asfalto e salsedine. Una pioggia capace di bagnarti le ossa e il cuore.
L’orologio della macchina segna 22.43. Passo davanti casa di mia sorella, che probabilmente già dorme.
Lungo la riviera il rumore delle onde, oltre il muro nero di questa notte fredda. Come la cena, perché sono troppo pigro per cucinarmi e poi ci sono lì ancora salsicce e patate da finire. C’è tutta una notte da occupare e al mattino, la domanda “Che ha fatto il Pescara?”, per capire perché suona meglio, dovete essere stati in piedi sui gradoni dello stadio cittadino, prima che mettessero i seggiolini.
“È finita quattro a uno la partita.”
“Contro chi ha giocato?”
“La Lazio”, faccio strascicare la a fino a farla sembrare una e. Con il tono dispregiativo che usano di solito i romanisti.
Il Generale mi guarda di traverso, sono conscio di aver colpito la sua anima da occasionale biancoceleste.
Qui è come avere una brutta malattia, essere della Lazio, ma è mio padre.