Pat è il diminutivo di Patrizia. Pat è anche l’amica di Oliver Hutton, quella che è probabilmente innamorata del capitano della New Team. Julian Ross è più forte di Holly e senza Taro Misaki (Tom Backer) la squadra non vale niente.
La pacca sulla spalla, in inglese: Pat. Anche la carezza è Pat.
Dopo questa breve digressione nel mondo degli anime, manga e della lingua inglese. Restano ancora sul cronometro 1 ora e 29 minuti. Di viaggio. All’andata Pat attraversa in due l’Italia, letteralmente. Spostandosi in quello spazio stretto che divide il Tirreno dallo Ionio.
Attraverso le valli, tra le montagne del Parco del Pollino. Dove il tempo sembra essersi fermato. In una dimensione di lentezza.
Pat, insegue la felicità. Anche se per raggiungerla e poi tornare a casa, viaggia per tre ore. Non giocherà mai forse in Serie A, nemmeno in A2, perché il lavoro non lo puoi abbandonare così. Il cuore lo puoi seguire, fino ad un certo punto. Fino a quella linea del campo che lo separa dalla realtà. Quella che per cambiarla c’è sempre tempo, eppure non sembra mai il tempo giusto.
“Ho trovato i fratini che profumavano di bucato”. La voce ha quel tono di felicità, che puoi trovare solo dentro alla normalità, quella che avevi dimenticato esistesse. Oppure che pensavi avesse dimenticato te. La sua voce profuma di nutella, quella che hai mangiato di nascosto e il suo accento è come il vento che sferza le montagne.
Quando mi racconta che l’avevano chiamata anche da una serie superiore, avverto quel misto d’orgoglio e di tristezza. “Posso giocare”, le parole nascoste tra i suoni di altre. Le svolte della vita non sono spesso quelle che vogliamo. Frantumano quei sogni come quando ci scivola di mano quel bicchiere di cristallo che la nonna conservava da sempre.
Lo spogliatoio con un televisore, le lavatrici in funzione. Il campo in sintetico senza il cemento a fargli da fondamenta. Lo sport all’aperto anche quando il freddo s’attacca alle ossa e non ti molla mai. La cena in macchina, prima di ripartire. Quella che ha preparato prima di andare al lavoro.
Le istrici per strada, quelle grandi con gli aculei che sembrano altissimi. Lente avanzano in mezzo alla strada e non gli importa della tua di velocità. Come su quella salita verso al casa del Generale. Nel buio assoluto, gli aculei gialli e quell’istrice che per attraversare c’ha messo una vita. Siamo scesi a guardala, alla luce dei fari.
Non avrei mai pensato, non in questa vita, non dentro a questo cuore che la felicità potesse essere in una pettorina profumata, nell’odore del bucato. Quello che strofini sul naso per essere sicuro che sia vero. Come il piumone sotto il quale ti rifugi prima di dormire. Lo stesso profumo. Capace di avvicinare nel tempo e nello spazio, un piccolo borgo in Basilicata e una piccola cittadina nelle Fiandre.
“Avvertimi quando arrivi a casa”.
“Sono viva e vegeta, a casa”.
Per te che correvi come una libellula, per te che hai il coraggio di inseguire la felicità in un pallone. Mi porti in viaggio con te, per te anche se non ci conosciamo davvero. Per te. Per farti compagnia mentre corri verso quel campo e mentre torni a casa.
Non sei sola.