Guardare giocare Edu Villalva è diverso da vederlo giocare. Chiunque può vederlo, in casa al Pala Rigopiano non costa nulla accomodarsi sugli spalti. Vedere e guardare però suo due verbi diversi. Chi guarda Villalva sceglie di confrontarsi con ciò che gli sta davanti.
Edu mi ricorda Gianluigi Lentini, quello prima dello sciagurato incidente con la Porsche e il ruotino. Dopo quello schianto in autostrada non è stato più lo stesso. Edu ha lo stesso sguardo che sembra triste quando gioco e forse è solo concentrato.
Ha quella abilità tecnica nel saltare l’uomo, nel controllo di palla che poi viene da chiedersi se l’hai visto davvero fare quel gesto tecnico.
A pensarci bene, è come se Marc Overmars, George Finidi e Gerald Vanemburg fossero confluiti nelle sue gambe. Quell’istinto per la giocata che non t’aspetti, quella gestione nello spazio stretto, non s’insegnano però nella scuola calcio. Non le apprendi in un clinic.
Secondo tempo di Sandro Abate – Pescara. Edu supera con un tunnel di suola l’avversario diretto che si trova in marcatura alle sue spalle. Lui non solo ha pensato ad una soluzione di gioco che la stragrande maggioranza dei giocatori nemmeno penserebbe di eseguire. Compie il gesto, lo porta a conclusione. Quando un secondo avversario gli si fa incontro, pensa di farlo ancora, quello stesso gesto. Finisce travolto, da due avversari.
Quelle giocate, le impari per strada. Ti obbliga ad impararle, il campetto di periferia, quelli più vecchi di te che provano ed asportarti le caviglie senza intervento chirurgico. Sono quelle giocate che svuotavano d’aria il palazzetto pieno del San Lorenzo. Sono la poesia bellissima che forse nemmeno capisci, ma che sei sicuro di non poter scrivere.
La strada, il quartiere, la villa.
Boyz n the Hood è un film del 1991, di John Singleton. È il manifesto di una generazione, cresciuta nei quartieri più poveri delle metropoli americane, in cerca di una via di fuga dall’inferno in terra. Spesso era lo sport, quel biglietto per la libertà.
Hood, è la crasi di neighborhood, della parola quartiere.
Non una crasi linguistica, una abbreviazione, ma una sociale. Già perché quella parola ha perso il suo suffisso “neighbor” nella sua accezione di vicinato ed è rimasta la parola “hood”. Lo stesso lemma con cui si indica il cappuccio, “hood”, quello che ti tiri sulla testa per non essere visto, per passare inosservato. Oppure peggio per non essere riconosciuto.
South Central, non è diversa da Jacarezinho oppure Villa 1-11-14. Lì si cresce presto, si vuol scappar via in fretta. Eppure non ti scrolli mai di dosso quella realtà. È una parte di te, ti ha reso quello che sei. Ogni tanto reclama il suo tributo.
Vi sento, vecchi tromboni. “Si ma la giocata, poi la squadra ha perso. A che serve, non siamo al circo”. Siete tristi, come le vostre parole. Mi dispiace per voi, che siete solo capaci di vedere. Io continuo a guardare, oggi come allora.
L’allora è datato: 13 Settembre, 1992.
Il Pescara di Giovanni Galeone, neopromosso in Serie A, affronta il Milan degli invincibili. Ore 15.01, l’Adriatico esplode, Massimiliano Allegri buca dalla distanza Antonioli. Pareggia subito Maldini e Lentini porta in vantaggio i rossoneri. Lentini, vedete i ricordi che fanno?
Due autoreti di Baresi, Franco, quello, il capitano. Due reti in contropiede di Ricky Massare, l’attuale direttore sportivo proprio della società rossonera. Il Pescara è in vantaggio per quattro a due.
La partita finirà, 4-5 per il Milan.
Pensate che qualcuno, ricordi quell’incontro con un: “te lo ricordi quando abbiamo preso cinque schiaffi dal Milan di Capello”. Sbagliate, perché siete tristi, come i vostri pensieri. Tutti lo ricordano così: “ti ricordi quando battevamo 4 a 2 il Milan”.
Così per quella partita. Cadenza pescarese d’obbligo: “Te lo ricordi quando Edu ha fatto un tunnel di suolata, di spalle e ne stava a fare anche un secondo? Sci. L’hanno pure calpestato, ci stava l’espulsione”. Flaiano, Cascella, Rocco Pagano e Giovanni Galeone, siamo abituati così, a guardare la bellezza.
Nota a margine, per i tristi.
Paolo Maldini ha definito Rocco Pagano, l’avversario che l’ha messo più in difficoltà nella sua carriera.