Semifinali Mondiali, di futsal

Per quelli troppo impegnati con le amichevoli da notarlo, è in corso il mondiale. Maschile, di futsal.
La massima manifestazione di questa disciplina. Gli Azzurri non ci sono, inutile ribadirlo. Ognuno ha la sua Corea e il suo Pak Doo-ik, il caporale anche se per l’Italfutsal, prende le fattezze di un panettiere finlandese.

Nel tabellone, ci sono nazionali come il Marocco, Iran, Uzbekistan, Kazakistan. La geografia del futsal è diversa da quella del calcio. La nazionale della Repubblica Islamica dell’Iran è una potenza mondiale, da sempre ai vertici della disciplina. Così come lo era l’Egitto, i cui fasti il Marocco prova a rinverdire. Ci sono i nuovi padroni di “petrolio e gas”, delle quasi repubbliche ex sovietiche. C’è la Russia, il Vietnam e la Tailandia. Le giovani tigri d’oriente e la vecchia madre Russia.

Niente Francia, che con i club però ci elimina nella UEFA Champions League. Inesistente la Germania. l’Inghilterra proprio non è pervenuta. A salvare l’onore della vecchia Europa, Portogallo e Spagna. Mito mediatico italiano sulle due potenze del futsal, utilizzato più per coprire le mancanze del movimento nostrano.

Cos’hanno in comune però Iran, Marocco e Portogallo. Perché  ci deve essere una ragione se l’Iran maschile è una corazzata e se l’Italia è seduta sul divano. Se le donne di Teheran battono la nostra nazionale due volte, probabilmente sudando molto perché la loro uniforme da gioco non è la cosa più comoda al mondo.

Sono uno curioso, se c’è qualcosa che non capisco, cerco qualcuno che ne sappia più di me. Come quando ho chiamato Nicola solo per chiedere: “Scusa ma in C non si insegnano a fare gli stop di suola? Nel caso chi dovrebbe farlo?”. Come scrivo spesso ci sono domande che vanno poste senza risolino. Coscienti che le risposte potrebbero non essere nel libro Cuore.

Ho composto il numero, dall’altro capo anche mia sorella. Le questioni culturali d’oriente sono quasi, il suo lavoro. Scopro che l’Iran ha in comune con il Vietnam, la Tailandia e perfino la Cina, la cultura del talento. Una centralizzazione delle scelte, un rispetto per le capacità e a fronte di una rigidità civile, una struttura sociale capace di sorreggere quell’indirizzo educativo.

Se hai talento, ti mettiamo in condizione di essere il migliore. Studierai, giocherai, dipingerai, con i migliori del paese. Ti mandiamo poi all’estero ad imparare dai più bravi, così che tu possa tornare in patria e permetterci di accrescere le abilità di altri, come te. Non siamo quindi, tutti uguali. Non possiamo e non dobbiamo ricevere lo stesso accesso a una struttura di formazione avanzata.

“Ma queste cose da noi…”. Fermi, subito. Mi ricordo Velasco raccontare la storia della “veloce” che ad ascoltare i tecnici italiani, potevano farla solo i giapponesi perché erano orientali. Ora la fanno tutti anche nelle scuole. In fatti, la Federazione di Calcio portoghese, ha eletto un presidente con capacità di visione. I lusitani non hanno la figc, la lnd, la divisione. Hanno un solo presidente.

Una decina d’anni fa, a seguito della sua elezione presenta un programma. Imponente. Ecco, il Ponte sullo Stretto di Messina. Invece no. È un business plan. Che risponde a una domanda, come trasformiamo il futsal in una parte sostenibile della nostra offerta sportiva? La risposta esiste e l’hanno anche messa in pratica.

Dieci anni dopo hanno uno Sporting Lisbona due volte Campione d’Europa, una nazionale campione continentale e nella semifinale mondiale. Sono partiti esaminando cosa non funzionava e trovando a questo una risposta pro-attiva. V’è capitato mai di leggere, un programma politico-sportivo che indichi i problemi? Una interessante lettura, sebbene in portoghese e ribadisco che dannazione tutto pensavo tranne di dover mettere in cantiere anche l’imparare quella lingua.

https://youtu.be/11AkoJVVLts

Se guardate la rosa della albiceleste, semifinalista mondiale contro il Brasile, scoprirete un dato importante. A parte i due portieri di riserva, la quasi totalità della rosa ha militato nel campionato italiano. Non vecchi giocatori sul viale del tramonto, come accade ora. Letteralmente sono stati formati, sui campi italiani. Siamo quindi in grado di riconoscere il talento quando è così evidente che ci rifila un ceffone in pieno viso.

In Italia ci sono giocatori di talento. Si perdono nei mille rivoli di piccole angherie di campanile. Tra le pieghe di un regolamento vetusto e tra le necessità della vita che prima o poi vengono a bussare alla porta. L’investimento sui giovani è un costo che le società dilettantistiche quando lo fanno, è fare a fondo perduto, senza un reale vantaggio economico.

Non c’è un centro federale, un convitto per giovani talenti. Come ne esistono per altri sport. Il talento nostrano, finisce con l’essere seppellito nelle serie minori, sotto strati di anziani che fanno attività motoria di base e tombini di ghisa ambulanti. Giochi, se te lo meriti. Non se semplicemente, cammini.

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