Mi avevi avvertito, non sono riuscito a prepararmi. Non ho avuto la forza nel cuore, per convincermi a scrivere. Fino ad ora. Ho atteso, il momento del suo annuncio, pubblico.
Oggi chiude la sua carriera da giocatore professionista.
Appende gli scarpini al chiodo, Araceli Gayardo. Il suo nome per intero, quello con la quale è registrata tra i miei ricordi.
No. Questo non è un annuncio uguale ad altri. Non suscita la stessa emozione. Non può esserlo, per me. Se lo fosse, quegli scarpini li, questa maglia qui, sarebbero solo pezzi di stoffa, tomaia, gomma.
Cely, si siederà sulla panchina, dopo una incredibile carriera da professionista. Proverà a restituire, qualcosa alle ragazze o ai ragazzi, che avranno il privilegio di essere guidati da lei, dalla linea laterale.
Ero nell’angolo dal quale è stata scattata la foto che ha scelto, per accompagnare le sue parole, d’addio al futsal giocato dal campo. Ho qui quegli scarpini. Non altri, esattamente quelli. Quelli del gol scudetto.
L’ho ascoltata raccontare di se, del suo passato e dei mille dubbi sul futuro. Le ho chiesto dell’operazione al ginocchio. Quando le notizie non erano quelle che speravo, ho smesso di farlo. Perché il ginocchio faceva male anche a me.
Vero, le storie, per loro natura intrinseca, hanno un inizio. Raggiungo l’apice, hanno un momento di rottura, di dramma. S’incamminano poi verso l’epilogo. Questo, rappresenta la fine di un capitolo della sua vita, che se provate a leggerlo davvero sembra contenere altre dieci vite dentro.
L’ho vista: vincere, perdere, puntare l’indice inquisitore. Sorridere, piangere anche solo per un ricordo. Orrendamente vestita da giocatore di basket provare a tirare a canestro. Rilassata a raccontarmi di un mondo, il suo che non avevo mai visto. L’ho vista offrirmi il suo letto e lei dormire sul divano. Ha condiviso con me la sua birra. No, questo no. M’ha offerto una birra, è più esatto. Ho parlato con i suoi genitori per una intera settimana e non conosco una parola di portoghese.
Sono triste e non dovrei esserlo. C’ero, sulla linea laterale nella maggior parte delle occasioni in cui è stata CELY GAYARDO. L’ho vista giocare, anzi l’ho ascoltata giocare. Perché aveva un suono diverso in campo, anche rotta, anche non al cento per cento della condizione. Riusciva a far giocare meglio le sue squadre. Non c’è più grande complimento, credo per un giocatore.
Ora dovrà far giocare le sue squadre bene, dalla panchina. Questo è un capitolo che non posso perdere. Anche se ora è in un angolo della Spagna, complicato da raggiungere. Maledetto villaggio di pescatori, ecco.
Cely, dobbiamo trovarci in Belgio, per condividere un paese che per qualche strana ragione c’accomuna. Le birre questa volta, le porto io.