Le 21.00 e la Serie C

Ripartono. Dal fondo del barile sportivo. Più in  basso non puoi scendere. Ripartire da loro e con loro, m’è sembrato naturale e inevitabile.

La serie c, femminile di calcio a 5 è quell’anello di congiunzione tra il futsal e il calcetto. Non esiste in realtà davvero. Una entità ai margini dell’attenzione. S’allena di sera, su campi in erba, incastrati ora tra campi di padel che si mangiano spazio e praticanti. Hanno luci migliori, sedie più comode e non sono nemmeno nascosti alla vista.

L’accesso al campo è nascosto alla vista, proprio come lo sport che ospita. Una viuzza laterale, di quelle che se non sai che c’è, non la trovi mai, nemmeno con Google Maps. Forse solo con quello. C’è una squadra di C2 maschile che occupa il campo, le ragazze attendono il loro turno. Profumano di repellente per insetti.

L’allenatore al centro del cerchio, nella metà più ampia. Dov’è che ho visto già, questa immagine. Sembra una vita fa. Stesse luci che non illuminano nulla, stessi visi stanchi, di qualsiasi età. Le Lobsters, il football americano femminile.
La stagione inizia davvero ora, con queste parole e questa corsa, con le scarpe da running sul tappeto sintetico.

Conosco i visi, non i loro nomi, rimedierò più tardi. Sono qui per le loro storie. Se riesco a comprendere cosa ci fanno qui, perché affrontano questo dolore fisico pur di giocare ancora, forse riuscirò a capire anche il mio. Ho chiesto spesso a Nicola di spiegarmi, di raccontarmi com’è che è così innamorato di questo luogo. Il suo distante centinaia di chilometri è per qualche strano disegno del destino, identico.

Manuela si preoccupa della macchina, parcheggiata a caso da qualche parte. I suoi bimbi sono incaricati di sorvegliarla periodicamente. In panchina ci sono loro, Vittoria e Mattia. Giocano a qualcosa, sembra una Switch. M’avvicino. Adoro I bimbi che quando chiedo a cosa giocano, mi trattano come l’adulto medio. Idiota e completamente ignorante per quello che concerne i loro veri interessi. Mattia voleva spiegarmi cos’è Animal Crossing. Ho dovuto raccogliere tutta la mia grazia e fare qualche domanda per fargli capire che sapevo più di quello che immaginava. Alla fine entrambi m’hanno mostrato la loro casa e Vittoria ha comprato un biglietto d’aereo solo per farmi vedere come si visitano le altre isole.
I mondi meravigliosi dei bimbi. Babbo Natale mi porti la switch e animal crossing?

In campo c’è Federica che dribbla dei cinesini, che poi perché so dei “piccoli cinesi” devo ancora scoprirlo. Non può cambiare nome solo per me, devo trovarle un soprannome che non sia “segretario”. Ho visto alcune donne in serie a, inciampare e finire per terra tentando lo stesso movimento.

C’è Alice, almeno un nome bellissimo. Lo sapeva anche Lewis Carroll. Ha l’età giusta per avere tutti i suoi sogni ancora davanti a se. Per correre più veloce di qualsiasi altra compagna di squadra e se avesse anche il piede sinistro, non dovrebbe giocare in C. C’è Francesca che parla con se stessa. Ho ascoltato gente insultare altri con meno veemenza di quella che lei impiega per insultare se stessa, dopo un errore.

C’è Carla, almeno quello che ne rimane. Se sei dimagrita ben tredici chilogrammi per le foto di AGS, ecco… le mie, ora non sono più le loro. Per tua sfortuna o fortuna. Carla ha un solo dribbling, lo esegue abbastanza in fretta da saltare spesso l’avversaria. Quando non hai più un bimbo di 18 mesi a tracolla, sei anche velocissima. Insomma, quasi. Se la palla però finisce a Renata è come gettarlo in un buco nero. Non l’avrete mai indietro. Se facesse sistematicamente gol, come quell’altra Renata, la sparizione avrebbe un senso.

É arrivato un venticello malefico, di quelli freddi che s’infilano sotto gli abiti anche se sono estivi e ti gelano la colonna vertebrale. Quella stessa sensazione di freddo, d’umido e di una notte che nasconde più della sola oscurità. Come al campo di Zanni, quello con I tombini scoperti in mezzo al campo. Come quello di Rancitelli con i cavalli sul balcone. Senza il rumore dei caschi, quello delle spalliere. Con due bimbi però che ballano, con Just Dance.

Ho imparato a non guardare solo con gli occhi, perché ho dovuto. All’improvviso qualcosa si muove ai margini della mia attenzione.
Mi volto. C’è Vittoria che timidamente sposta con la suola, uno dei palloni lasciati li, come fiori abbandonati.
Prova a palleggiare, come ha visto fare alle amiche della mamma. Ecco, qui, se cercavo una ragione a tutto questo è racchiusa in quegli istanti. Il pallone che non rimbalza come dovrebbe, che si fa fatica a controllarlo, che va dove vuole. Un po’ come la vita, un po’ come il cuore. Se non ci vedete l’essenza di qualsiasi racconto, non siete umani. C’è più magia in questo momento, in cui pensava che non la guardasse nessuno, che in tutta Hogwarts.
 

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