Caffè Corretto – La Famiglia

Non s’è dato nemmeno il primo calcio ufficiale ad un pallone Adidas da calcio a 5, che la piaga del luogo comune: “questa squadra è una famiglia” è tornata ad imperversare come il grido “cocco bello” sulle spiagge dell’Adriatico. In maniera altrettanto fastidiosa.

“Voce di Alberto o Piero Angela”, ma anche quella di Fru dei The Jackal va benissimo.
Sebbene meno diffusa nel massimo campionato di calcio a 5 maschile, la piaga della Squadra Famiglia raggiunge la sua diffusione apicale nella Serie A Femminile.”

Ci sono diversi elementi che rendono l’attribuzione della caratteristica familiare ad un gruppo sportivo agonistico di alto livello, sciocco ai confini della stupidità e anche dannoso.
Gli atleti sono retribuiti, svolgono la loro opera in una condizione da lavoro subordinato. Ricevono un compenso per quello che producono sul campo. In famiglia, se lavate i piatti, al massimo venite apostrofati con un laconico: “hai fatto metà del tuo dovere”.

In un gruppo competitivo, il livello di abilità, di funzionalità neurologica di base, viene scrutinato e questa condizione presa in esame quando si valuta l’utilità del singolo all’interno delle dinamiche del gruppo. In famiglia, provate affetto anche al vostro fratellino che si ravana il naso in cerca di pepite d’oro e poi cerca di scoprire se sono commestibili.

Una famiglia, nei casi più comuni è una entità alla quale siete legati da un legame d’appartenenza che non è vincolato dal “vile denaro”. Non è che i Kardashian vi adottano se siete particolarmente bravi nel truccarvi al buio. In una famiglia s’accettano i difetti dei componenti come ineluttabili segni di un destino che v’è toccato in sorte. In famiglia potreste non vincere mai lo scudetto. 

Una squadra è un nucleo agonistico, assemblato con i migliori talenti disposti a far parte di un gruppo sulla base di due elementi: competitività e denaro. In una famiglia se litigate con vostro fratello non potete cambiare squadra l’anno prossimo, così come accade se non sopportate il vostro allenatore. Non potete rinunciare allo zio che alla tombola natalizia da anni, al primo numero estratto, grida ambo. Certamente non potete chiedere che vostra sorella venga ceduta, forse ci potete provare ma con scarso successo.

Nonostante sia ovvio, perfino ai più ottusi e pigri, che di famiglia al massimo livello c’è ben poco, si continua a perseverare con questa narrativa. Il riflesso di questa scelta è permettere che lo spettatore occasionale percepisca la parola famiglia, come sinonimo di amatoriale. Il nonno cuce le divise, la nonna prepara il pranzo e la zia mette i conetti in campo. Non è così. Se si vuole proiettare una immagine professionale, c’è bisogno di farlo anche nel linguaggio.


Badate bene, non è che quella parola debba sparire, finire in una lista di proscrizione.  Ci sono contesti nei quali è adattissima. In quelle squadre di serie c, che s’allenano dopo aver terminato la giornata lavorativa. Nelle quali tolleri la compagna con i piedi che somigliano a due comodini dell’Ikea, perché è simpatica, s’allena sempre e corre tanto. Nelle quali le divise non si cambiano, “vanno benissimo quelle dello scorso anno”. S’adatta a quelle giocatrici che pagano per giocare, che si lavano da sole il completo di gioco, che vanno in trasferta con la loro macchina.

Ci sono parole adatte a tutti i contesti, alcune più funzionali di altre. Il linguaggio, anche sportivo, si evolve e s’adatta ad un teatro di comunicazione completamente diverso da quello per il quale otto gol sono ancora un ottovolante. C’è spazio anche per il compianto Marcozzi e il suo “arrestate il guardalinee”. Quando il futsal sarà mainstream, forse allora potremmo tutti permetterci la sciatteria di alcuni.

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