Tempo di Olimpiadi, di medaglie anche d’oro e condivise. Tempo di record, di miglioramenti così improvvisi da destare qualche sospetto per una disciplina che non s’è mai ripresa dal dopo Ben Johnson. Abbiamo però per fortuna storie, che anche se non fanno lo stesso rumore, ci ricordano perché seguiamo con tanta passione, lo sport.
Ci sono anche le storie di casa nostra, quelle di sport che non sono olimpici, nemmeno discipline dimostrative. Sono tanti. Quasi tutti si preparano, come possono, alla nuova stagione agonistica. Tempo anche di comunicati, non che sia mai passato davvero quel tempo.
La Divisione Calcio a 5, comunica che s’è superato il record di iscrizioni della scorsa stagione, di ben quattro unità. In questo nuovo tempo, piagato dal Covid, la disciplina a rimbalzo controllato, ha un sussulto almeno nella sua base, credo.
Per la pratica dello sport è sicuramente un segnale positivo, più praticanti, più squadre iscritte al circuito dei tornei nazionali, più denaro nelle casse.
Quanto questa abbondanza si traduca in qualità, in vendibilità di un prodotto apicale, parlo della Serie A, resta tutto da vedere. A fronte di una Serie A maschile, che sembra aver trovato una sua stabilità, pur in assenza completa di un modello economico che permetta un ricavo alle società, il femminile appare più in difficoltà.
Due delle squadre che hanno ottenuto la salvezza nella scorsa stagione di Serie A, hanno chiuso i battenti. In un campionato a dieci squadre, rappresentano il 20 per cento. Delle aventi diritto alla promozione nella massima divisione, che per i distratti non si chiama più “Elite” da anni, una ha cessato l’attività. Una su quattro, il 25 per cento. C’è in ballo la promozione d’ufficio dell’ex Osilo, ora Sassari mentre strani e sinistri spifferi agitano i corridoi bui della Serie A Femminile.
In un contesto sportivo, agonistico, incapace di ringiovanirsi senza perdere competitività, una visione sul futuro si rende necessaria. Non ignoro che la contingenza di una sopravvivenza al COVID, sia una priorità. Paradossalmente, non a livello economico e imprenditoriale. Proprio questo è il momento adatto per rilanciare una impresa, anche una sportiva.
Ripensarla alla luce di quella che è ad essere generosi, una situazione stagnante.
Continuo a chiedermi perché, imprenditori di successo non chiedano a gran voce più rispetto per il loro denaro. Perché non chiedano che sia posto in essere un modello di business che preveda forme concrete di ricavo a fronte di una disciplina che presenta solo centri di costo.
Mentre consultavo e annotavo, uno studio sui modelli di business sportivo, mi sono chiesto quanto di quello che leggevo fosse applicabile al futsal.
Al centro di questo modello c’è il pubblico: “Audience”. Intorno ci sono le squadre, i giocatori e quelli che creano quel contenuto che poi diventa, prodotto. Più all’esterno ci sono gli sponsor che vogliono collegare il loro brand al bene di fruizione e così via. Nel futsal al centro ci sono ancora le squadre, le società. Il pubblico rappresenta una cornice, se c’è bene. Se non c’è, non si prova nemmeno a cercarlo. Si potrebbe tentare d’applicare al futsal italico, questo schema.
Invece di chiedersi: “cosa ho vinto?”, ci si potrebbe chiedere: “a chi importa cosa ho vinto?”. Perché di sport con le medagliette di Mutley è piena la penisola, pieno il mondo. Ci sono decisamente meno discipline che interessano, davvero al pubblico. Parlo delle folle, non dei parenti sugli spalti. Le Olimpiadi costituiscono il palcoscenico più ampio a disposizione di quegli sport, che domani avremo già dimenticato. Fuori dall’evento con i cinque cerchi c’è un universo di possibilità d’intrattenimento a disposizione del tifoso consumatore.
Come l’attraggo? In che modo lo trattengo abbastanza da rifilargli uno sport pubblicitario? Con quali strumenti sostengo economicamente questa disciplina? Le soluzioni a questi quesiti sono lì fuori, adottate in modelli di successo.