Le quattro del mattino. S’è alzato un vento di levante. Arriva da est e si carica di un po’ di fresco e dell’odore forte della salsedine. Non riesco a chiudere occhio, non c’è verso e allora resto ad ascoltare il mare, nel buio pesto di quel che resta della notte.
Ho appena terminato di guardare Audible. Un bellissimo film, disponibile sulla piattaforma Netflix. Potrei definirlo anche un documentario di formazione, forse però è qualcosa di più. L’audible nel gioco del football americano e quella chiamata sulla linea di scrimmage che cambia la giocata, lo schema chiamato nell’huddle. Se ho usato troppi termini specifici del gioco del football americano, mi perdonerete e a vostra richiesta potrei anche pensare di inserire un glossario. Audible in inglese è anche ciò che si ascolta, da qualche tempo anche il nome della piattaforma di Amazon dedicata agli audiolibri.
Quando ho letto la sinossi di questa pellicola, l’ho inserita nella mia lista personale, catalogandolo mentalmente come: “docufilm di un giocatore sordo di football americano”. Dopo cinque minuti di visione, sapevo già d’essermi sbagliato.
Audible è tante cose, sicuramente non è quello che pensavo. È un viaggio, nella vita di adolescenti che praticano uno sport, ma che non posso ascoltare il rumore che fa. Ne avvertono solo le vibrazioni. Il calpestare del prato da parte di compagni ed avversari, l’oscillazione delle onde sonore dell’enorme grancassa posizionata a bordo campo.
C’è tantissimo che non posso ascoltare. Il fragore del pubblico, quando entri in campo, quando segni un touchdown, quando fermi l’avversario con un placcaggio spettacolare. Ho premuto il pulsante pausa, sul telecomando.
Mi sono fermato a riflettere. Quello sport per me è la voce impastata dal paradenti dello snap, è il fragore della plastica delle armature che si scontrano, è il rumore dei caschi ma soprattutto è il fragore della gente. Lo spogliatoio, le grida, le voci concitate, i discorsi pre partita e quelli post.
Non c’è niente di tutto questo ma, magicamente c’è qualcosa di più. Sono rimasto affascinato anche dalla capacità di raccontare con le immagini il silenzio. È incredibilmente rumoroso quel silenzio, fatto di un linguaggio velocissimo, di una vita identica a tante altre e allo stesso tempo piena di quella distanza da un mondo normale del quale si ha paura.
Quella di Audble è anche una storia di vite spezzate, di una finita appesa ad una corda che stringe il collo è t’uccide a solo 16 anni. Perché lì fuori c’è un mondo crudele, un mondo pieno di demoni che ti danno la caccia.
Una storia d’emarginazione, d’adozione, d’amore per qualcuno del tuo stesso sesso, di sordità e di morte. Perché forse c’è un limite alla sofferenza, perché forse talvolta si trova una soluzione definitiva ad un problema temporaneo.
Questa però è anche una storia di sport, di una “streak”. Una striscia vincente. Tredici stagioni, senza mai una sconfitta. Quarantasette partite, contro squadre che vengono anche dal Texas per sfidarti. Squadre con giocatori che ci sentono benissimo e non ci stanno a perdere contro una squadra di sordi.
Sono rimasto affascinato. Dalla scelta delle immagini, dalla capacità di dare ritmo al silenzio. Ho avuto l’impressione per lunghi tratti d’osservare il talento di Richard Linklater in azione. Non sapete chi è Linklater, avete mai visto “Prima dell’Alba”, no?. Marco, si tu che sceglie case con le vetrate che sono balconi, dovresti fare qualcosa di più utile con il tuo tempo libero. Si proprio tu. Linklater è il miglior regista della nuova generazione di cineasti americano, l’uomo che produceva indie prima che esistesse la parola. Ora che sai questa informazioni ti puoi vantare anche con “Palio”.
Mentre scorrevano i titoli di coda ho pensato che mi piacerebbe un giorno poter raccontare una storia del genere, anche nel futsal, perfino in quello femminile. Una storia, è tutto quello di cui abbiamo bisogno per riempirci il cuore, perché ci importa e possiamo così spiegare il perché.