L’immagine, conta.

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L’identità di un brand, dicono, sia particolarmente importante per sollecitare e coadiuvare l’identificazione tra azienda produttrice e consumatore. La mela morsicata, il lettering della coca cola, la V e la W della Volkswagen e così via. Nello sport, l’evoluzione dei marchi è stata più lenta. Quasi tenuta prigioniera da quel sentimento di nostalgia che lega diverse generazioni di tifosi. I tifosi sono consumatori che non amano molto i cambiamenti, sono particolarmente abitudinari e restano spesso vittime delle loro stesse tradizioni.

Nel futsal italiano, anche recente, spesso questo aspetto viene particolarmente trascurato. Loghi rubacchiati in giro, alcuni presi da vecchie librerie di Corel Draw, che tra l’altro pensavo fosse un software defunto. Tra mille pasticci, pastrocchi e opere in genere del CUGGGGINO di qualcuno, anche su maglie con un blasone importante si sono viste opere grafiche quantomeno altamente rivedibili.

Tralasciando il concetto di bello, spesso orientato anche da bias del tutto personali, esulando dalla decenza che ha regole e condizioni mutevoli nel tempo, possiamo soffermarci sull’attualità, sulla funzionalità e sulla capacità di comunicare di un marchio.

La squadra al momento ai vertici del Futsal Italiano è il Pesaro. Il presidente Pizza, in pochi anni, sostenuto dalla sua abilità imprenditoriale ha costruito una squadra capace di dominare in Italia e con l’ambizione di farlo anche nella massima manifestazione continentale per club.

Colori biancorossi, la maglia ricorda molto quella dell’Atletico Madrid. I “colchoneros” ad esempio, sono stati sempre particolarmente attenti a rappresentare un certo tipo di brand, molto popolare e popolano.
Il Pesaro ha una mascotte, idea ottima. Intrattiene, fa da collante con la tifoseria e a volte la rappresenta anche. Addirittura potrebbe essere sfruttata ancora di più. Non ho idea, di cosa rappresenti esattamente, che collegamento c’è con la squadra o la città, però questo potrebbe essere ulteriore ambito d’approfondimento..

Quando osservo il marchio, lo stemma, il logo del Pesaro, l’unica domanda che riesco a formulare è: “Perché”.
Un cinque rosso, con dentro cinque stelle. Sono i 50 scudetti del Pesaro, le cinque stelle dell’accoglienza alberghiera della zona? Indicazioni astrali parziali? Cinque stelle, Pesaro Calcio a 5 come lettering dentro ad un enorme numero 5.
Possiamo asserire che l’informazione è quantomeno ridondante?
Pallino blu, con dentro omino stilizzato che calcio un pallone oppure arretra per tirare, le due linee curve che dovrebbero indicare movimento mi traggono in inganno.

L’omino mi ricorda vagamente quello di Italia 90, il mondiale, a cui però sono caduti i cubi ed è rimasto solo lo scheletro. La testa dell’omino e il pallone sono sospettosamente simili nella forma. Ho fatto i compiti a casa, sono edotto sulla genesi di questo logo. Frutto di trasformazioni, unioni, squadre scomparse, accorpate e risorte come l’araba fenice dalle ceneri.

Mi chiedo come mai un imprenditore così di successo, sicuramente cosciente di quanto conti l’immagine in una società iperconnessa proprio attraverso il senso della vista, non abbia mai pensato ad un restyling. Affacciandosi proprio sul panorama europeo si scontra con brand molto affermati. Sporting Lisbona, Barcellona, solo i primi due colossi che sono saltati giù da questa penna virtuale. Non c’era spazio d’investimento per rendere una giustizia anche visiva alle gesta dei campioni in forza al Pesaro?

In una Divisione Calcio a 5, che dimostra d’aver maturato un minimo d’attenzione e coerenza alla propria immagine, non solo nella comunicazione ma anche sul campo, abolendo finalmente la maglia bucata per il portiere di movimento. Ecco, il logo del Pesaro è un po’ come quel buco sulla maglia. In fondo non cambia molto, però non è proprio il massimo da vedere.

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