La città di Pelè

Santos è il più grande porto commerciale del Brasile, dell’intero Sud America. La città sembra essergli cresciuta quasi addosso. Italo Calvino la farebbe raccontare così al suo ipotetico Marco Polo: “A ottanta miglia dal vento di maestro, l’uomo raggiunge la città di Eufemia, dove i mercanti di sette nazioni convengono a ogni solstizio ed equinozio. La barca che vi approda con un carico di zenzero e bambagia tornerà a salpare con la stiva colma di pistacchi e semi di papavero, la carovana che ha appena scaricato sacchi di noce moscata e zibibbo già affastella i suoi basti per il ritorno con rotoli di mussola dorata”.

La città di Pelé, che odora forte di caffè e salsedine, all’ombra di alti grattacieli e di strade che sembrano disegnate con la riga e la squadra. Nel mezzo di questo susseguirsi quasi insensato di case basse e giganti di cemento, giocano mille bambini, per strada, in un campo, ovunque. Le partite di calcio sono infinite, gli orari non esistono, ci si regola guardando il sole, si gioca fino a quando si distingue il pallone e poi tanto ci sono i fari.

Nathalia segue il suo fratello più grande, perché così le ha detto il suo papà prima di andare a pesca. Difficile ora immaginare che tanti anni dopo quella bambina, con il nome della ginecologa che ha aiutato la sua mamma, dividerà il campo con un capitano anche lei con il papà pescatore.  C’è qualcosa di mistico nel tempo sul mare, nella vita dei marinai e dei pescatori, Hemingway l’ha raccontato quel rapporto, come nessuno mai.

Questa però è Marapè, qui ci si diverte inseguendo un pallone e non potrebbe essere altrimenti. La bimba scopre d’essere davvero brava a giocare e si trascina dietro con la stessa disinvoltura il pallone e gli avversari.
“Mia sorella può giocare”, diventa una affermazione più potente degli sfottò degli amici, quelli che ti ricordano che tu non sei abbastanza bravo. Però lo è lei, quello conta, perché Nathalia è davvero brava.

La domenica in chiesa per il catechismo, finisce che quella fede ti resta appiccicata, come melassa al cuore. Ci credi e diventa la pietra fondamentale di un viaggio di vita fondato sulla capacità di credere, senza vedere. Forse hai imparato li a suonare la chitarra oppure è vera questo rapporto tra il ritmo della musica e quello necessario a saltare l’avversario in dribbling.

All’ombra di quelle colline così vedi che quasi t’accecano, cresce il talento di Nathalia, potrebbe diventare un lavoro. Mentre suo fratello ora cavalca le onde con la sua tavola da surf, perché le onde sono lì ed è un peccato sprecarle.
La donna di questo oggi complicato, è forse lontana dalla bimba di tre anni che insisteva per seguire il fratello in strada per giocare. Sono però l’una conseguenza dell’altra.

Se nasci vicino al mare, quel mare e la sua spiaggia te la porti dentro e finisce che ogni mare e ogni spiaggia ti ricordano casa e diventano casa. Potevo immaginare tante cose di Nathalia ma alla fine la più strana forse è questa passione, per le serie televisive di fantascienza, non l’avrei immaginato davvero.

Donna silenziosa. Se prestate attenzione al suo sguardo, Nathalia sembra viaggiare a cavallo di quella linea sottile che divide la certezza che ti stia ignorando e quella del silenzio come forma di assenso. Una stagione passata a recuperare da un infortunio. Tornerà a correre lungo la linea laterale, a dribblare e a scagliare la sua sassata in porta sul palo lontano dal portiere e a gonfiare la rete.
 

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