Football Americano – Young Adult

Raccontare lo sport non è mai semplice. È possibile affidarsi alla cronaca, al consumato ricettacolo di luoghi comuni. Si può ricorrere allo stereotipo dell’intervista, quella senza mai una domanda scomoda, quelle che al confronto Carlo Pelegatti al cospetto di Silvio Berlusconi è un giornalista d’assalto.

C’è anche chi vuol scrivere di uno sport che non ha mai praticato, del suo rammarico per quell’occasione persa, per l’amore viscerale che ha scoperto poi, per quella stessa disciplina. Un progetto editoriale non nasce mai per caso. Ha un percorso lungo, fatto d’appuntamenti e agenti, esattamente come accade per l’ingaggio di un giocatore.

Lei s’è scelta un nome Elena, io continuo a chiamarla con quello al quale a rinunciato: Germana. Perché sono una brutta persona, perché a me piace ancora di più e forse perché al nome Elena associo sempre un pezzo di mitologia greca che fa il paio con il nome Cassandra.

Pineta, esterno giorno. Si Nicola, se ti fosse venuto il dubbio quella è una citazione.
Ci sediamo su uno dei tavoli nella pineta. Il “bar lercio”, come lo chiama Marco, apre alle 17.00 e non lo sapevo perché  chi c’è mai andato così presto? Tocca aspettare qui per una birra gelata.

Young Adult è tipo una parolaccia per me, ma ho scritto cose peggiori. Lei sembra aver talento per quel genere e se vende, va anche bene così. In una delle sue ultime fatiche letterarie, il protagonista giocava a football al College. Da come l’ha dipinto lei poteva essere però anche Lacrosse. S’è accorta che qualcosa non andava e m’ha chiesto aiuto.

Misfits. Quelli che “miss” to “fit”. Non s’inseriscono, non stanno bene da nessuna parte, non riescono a sparire tra la carta da parati del muro di casa. Lei è così, forse siamo così, ma non è questa la ragione per la quale siamo seduti a questo tavolo. Quando per professione valutavo cose che scrivevano altri le dissi: “che ci poteva lavorare, che se si liberava della necessità di mostrare a tutti che sapeva chi era Ade, forse quella poteva diventare una professione”. Probabilmente, ho usato parole decisamente più dure.

C’ha creduto la ragazza e ora vuol scrivere una storia, di football americano giovanile. Ha il libro di Grisham pieno di etichette e di note, l’improbabile taccuino di con una copertina di qualcosa Disney che il mio cervello ha rifiutato di memorizzare.
Urla, dalla casa vicina.
Ci fermiamo entrambi e voltiamo lo sguardo nella direzione delle grida. Si urla qualcosa di “non ti permettere di toccarla”, “ha un bambino in braccio”. Mentre cerco di chiamare i carabinieri, entrambi però abbiamo registrato quelle immagini come una storia possibile. Gli attori di quell’orribile momento come antagonisti delle nostre storie future.

Quando è tornata la calma, abbiamo confessato che quelli erano dei “cattivi” che non potevano non annotare sui nostri taccuini. Eccole le storie, sono tutte intorno a noi, dobbiamo solo avere il coraggio di vederle e l’ardire di raccontarle.
Lei scorre tra vecchie note, idee e suggestioni per la trama. Sistemiamo la coerenza di una storia che sarà ambientata in Italia. Le suggerisco dei nomi che potrebbero offrirle la struttura per alcuni dei personaggi.

Ci saranno pezzi di vita da raccogliere per poi cucirli insieme in una storia. Sarà un viaggio, sulla linea laterale di una partita di football, probabilmente ad Ancona in casa Dolphins. Ci saranno chilometri da percorre per seguire il filo d’intreccio di un libro che prenderà vita e la porterà dove lei non s’aspetta d’andare.
Vi racconterò anche di quel viaggio, perché, perché no?

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