Ripescaggio o ammissione alla categoria?

Nel futsal nostrano, quello del Bel Paese, questo è il momento delle iscrizioni ai campionati. Istanze da inviare, domande da valutare. In un turbinio di comunicazioni spesso si ingenera confusione, su quelle che sono le domande di ripescaggio e quelle che sono le richieste d’ammissione a categoria superiore. Le NOIF, norme organizzative interne federali, recitano:

“…alla società semifinalista soccombente nella previsione che l’antagonista abbia anch’essa acquisito per proprio conto il diritto alla promozione alla categoria superiore”. Si offre la possibilità di ottenere di fatto, una promozione. In questo modo le squadre uscite sconfitte nella competizione sportiva, possono guadagnarsi un posto al sole.

Si tratta di una pratica diversa dal ripescaggio. In quest’ultima sono coinvolte squadre retrocesse dalla loro serie, nella stagione precedente. Spesso, troppo spesso, queste pratica hanno più una valenza politica che sportiva. La necessità di ampliare il numero di partecipanti, ad esempio alla massima categoria. Mostrare una espansione del movimento. Questi propositi, animano le azioni e le intenzioni, di troppi dirigenti sportivi.

Il ripescaggio rappresenta una pratica anche sportivamente, rischiosa. Nel corso della campagna di rafforzamento di una squadra, è difficile acquisire nuovi giocatori di categoria superiore con la blanda ipotesi: “faremo la Serie A, saremo ripescati”. In verità. è perfino più complesso a livello di programmazione. Difficile gestire una società sportiva restando sospesi in un limbo, dal quale si possono però guardare, due sponde d’approdo completamente diverse.

L’abisso competitivo e sportivo che separa la Serie A dalla Serie A2 comporta non solo problemi organizzativi e finanziari. Esistono difficoltà nel reperire talento e agonisti, evidenti a tutti gli attori del calcio a cinque italiano.
Certo si può sempre tentare una scampagnata nella massima divisione. Per valutare le problematiche, le sfide e anche le risorse davvero necessarie. Si rischia però di finire come certe compagini. Un punto in 34 partite, 190 gol subiti e 35 fatti. La stagione precedente non era andata meglio, l’ultima classificata realizzò 3 punti in 30 partite subendo 203 reti, realizzandole 41.

Il detto “ogni scarrafone è bello a mamma sua” non è in discussione. Si potrebbe aprire però una costruttiva riflessione. Sulle reali ambizioni di quelle squadre, indotte “a salire” per ragioni che potrebbero non essere strettamente sportive. Nel corso di una stagione, le squadre si trovano a competere, per obiettivi diversi. Tutti nobili e con la medesima dignità. Competere però non è solo una parola. Rappresenta una idea, un’ambizione. Consiste nell’offrire una possibilità di vittoria a tutti. Questo elemento rende la sfida interessante anche per lo spettatore. Nessuno si diverte, credo a parte i marcatori, a vedere delle imbarazzanti imbarcate.

La ragione sportiva, in un mondo meno imperfetto di questo, dovrebbe prevalere su quella politica. Non accade spesso. Questo però non vuol dire che non debba accadere mai.

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