Se non avete mai letto Moneyball di Michael Lewis, dovreste farlo. I libri restano importanti per me, non solo perché sono il retaggio di una professione che ho amato e odiato allo stesso tempo, soprattutto restano un costante momento di ricordo.
Punteggia nella memoria la consapevolezza che gli eventi inaspettati sono davvero pochi e che spesso gli avvenimenti umani tendono a ripetersi.
Quel libro, molti di quelli di Lewis in realtà, narra una vicenda di sport e di denaro, come nessuno era riuscito a fare prima di lui.
L’ennesima rilettura di quelle pagine m’ha lasciato una domanda alla quale ho provato a dare una risposta.
“Possibile che nel futsal non sia possibile creare una squadra da finale scudetto, senza spendere cifre illegali?”
Molte parole dopo, di quelle che viaggiano per messaggio e di quelle che viaggiano con la voce, questo mio viaggio si prende un momento di sosta. Per raccontare quello che ho imparato, le nuove domande e le poche risposte che ho trovato.
La mia e la sua terra s’accomunano da un panorama a tratti simile, quello di lunghe filari di vigneti, operose aziende vinicole e quella terra così fertile da sembrare quasi nera. Appoggiati sulle colline a ridosso delle montagne o affacciate sul mare, trovo qui, uno dei pochi direttori sportivi capaci di farmi pensare ai grandi interpreti di questo difficile e importante ruolo societario.
Un Walter Sabatini, giovane molto più giovane e spero senza il vizio del fumo. Non perché abbia qualcosa in particolare contro il fumo, semplicemente non ha giovato alla salute di quello “originale”.
In un futsal italiano dove il ruolo di direttore sportivo esiste, spesso sulla carta oppure e ricoperto da un uomo di carta, lui è l’eccezione e invece dovrebbe essere una regola, un riferimento.
L’attitudine all’ascolto, quando parlano i veri maestri di questo sport. La ritrosia invece verso i cattivi maestri. Se in fondo vinci 6 titoli in 36 stagioni in panchina, forse speciale non lo sei così tanto. Quello che un direttore sportivo dovrebbe chiedere ad un bravo allenatore e quello di spremere il massimo da una rosa modesta. A vincere con i fenomeni sono bravi un po’ tutti e anche a retrocedere l’unica volta che ti capita una squadra scarsa.
Rifletto sull’Imola degli elettricisti, di quelli che trascinano ai rigori una squadra piena di fenomeni costruita con tanto denaro, davvero tanto. Chiedo: “perché nessuno vede del valore in quelli come Vanni Pedrini, individui capaci di ottenere quel genere di risultati?”. La risposta non mi sorprende e non mi delude. Ignoranza. L’incapacità congenita di impegnare conoscenza e tempo nell’apprendimento di alcuni rudimenti, indispensabili per svolgere il ruolo di direttore sportivo.
Perché “passione” è spesso una scusa, una panacea per spiegare tutti i mali. Una spiegazione pietosa per ogni errore.
Quei pochi dotati del minimo d’intelligenza necessaria, riescono a dominare le dinamiche di questo sport. L’esercito americano stabilisce che un QI di 84 è il minimo necessario a compiere i compiti assegnati ad un soldato di fanteria. Il 10 per cento della popolazione americana è al di sotto di quella soglia. Probabilmente anche in Italia ma non asserisco che facciano tutti i direttori sportivi nel futsal.
Come conosco quell’informazione? Leggo, sempre lo stesso maledetto vizio. The Undoing Project: A Friendship that Changed Our Minds. Ora la pagina però la cercate da soli.
Creare le condizioni per essere competitivi a fronte di una possibilità di spesa inferiore, cercando di ridurre i rischi limitando l’esposizione, in considerazione di un mercato altamente volatile come quello delle discipline sportive.
Questo dovrebbe essere l’unico obiettivo di ogni direttore sportivo.
Le parole di quello che è stato un giovane Sabatini, sembrano rimbalzare tra le pagine di Moneyball e diventare una storia comune non importa lo sport. Approccio sistematico e scientifico a quello che molti invece considerano ancora un campo esoterico. Come è accaduto per generazioni nel baseball, ora nel futsal ci si affida al giudizio frutto dell’esperienza.
Alla così detta capacità di alcuni di valutare e giudicare in funzione di una non meglio specificata abilità.
Strano che uno dei direttori sportivi più di successo della giovane storie del futsal italiano non abbia mai nemmeno giocato a calcio a 5. Per lui però questa era una autentica professione, a tempo pieno, unica. Non doveva dividersi con altri compiti, non era un hobby, nemmeno un dopolavoro. Era un vero professionista.
Forse i numeri, l’analisi statistica, l’evoluzione delle metriche di valutazione aiuteranno anche i club dilettantistici a correggere gli errori di valutazione, limitare le scelte in perdita e eliminare quelle scellerate.
Ho però una domanda che non posso rivolgere al mio personalissimo Walter Sabatini, devo fare una seconda chiamata.
Mi risponde il Commissario Moltalbano, con l’accento argentino. Saluti, convenevoli. Non gli chiedo del mutuo perché questo secondo soprannome mi sembra adatto. Vorrei che mi spiegasse perché giocatori più vicini ai 40 che hai 35 continuano a calcare da protagonisti la Serie A di calcio a cinque. “Possibile che non ci sia talento?”. Sono cosciente del ristretto numero di atlete al femminile disponibili a trasferirsi, giocare e competere ad alto livello, ma gli uomini?
Lo incalzo “Quale spiegazione puoi offrirmi alla scelta di un giocatore di quarant’anni rispetto a un giocane di 24 capace di realizzare in seconda divisione 38 gol?”. “Vincere subito”. Torna poi la parola ignoranza. Il discorso vira anche sulla capacità di coltivare il talento, di scoprirlo e quella lungimiranza necessaria anche ad aspettarlo.
Ricorre ancora quella parola. Ignoranza nell’accezione di mancanza di conoscenza.
In una disciplina strutturalmente impossibilitata a creare valore, non è possibile almeno strutturarsi così da rendere la spesa sportivi funzionale ai risultati?
Settimane di “mercato” m’avrebbero dovuto fornire una risposta esplicita: no. Resto in attesa però di quell’individuo o gruppi d’individui capaci di sorprendermi. Perché sebbene il talento sia un valore altamente soggettivo, i risultati che genera invece sono incredibilmente oggettivi.
Forse ha ragione il Commissario Montalbano: “in un paese abituato a comprare il talento non ci si preoccupa di crearlo. Quella è una prerogativa di quei paesi con difficoltà economiche, lì bisogna trovare una soluzione e non comprarla”.
Pensavo di trovare delle risposte, invece ho sul mio taccuino digitale nuove domande. Un’industria come quella del calcio a 5 italiano, incapace di creare e generare valore economico, perché si spendono denari a pioggia senza nessun evidente e legale flusso di ricavi?
Una figura come quella del direttore sportivo, funzionale e fondamentale per la riuscita di un progetto sportivo è affidata non ad un professionista ma semplicemente ad un volenteroso hobbista?
Progetto, la parola più abusata, quella meno perseguita, quella più vilipesa. La ragione della sua assenza è alla base dei fallimenti di società che hanno piagato e piagano la realtà sportiva di questa disciplina.
Ripongo la penna nel portatile, anche lui troppo vecchio ma deve continuare a giocare perché i fondi per un nuovo giocatore scarseggiano. Quindi mi devo ingegnare per trovare una soluzione, così come in una “Villa” argentina.
Resto ad osservare da una finestra spalancata, i movimenti di giocatori, quelli che arrivano, quelli che continuano a restare e quelli che bruciano risorse. Quelli che acquisiscono prestazioni di giocatori che non conoscevano e quelli che semplicemente non conoscono.