Fifò e Janice

M’è capitato di leggere i commenti italiani, alla notizia. In verità pochi. Incentrati soprattutto intorno alla probabile destinazione finale di queste due atlete. In un concerto di banalità che non dovrebbe sorprendermi e invece lo fa.
“La banalità del male”, oppure più semplicemente il male della banalità.
Si, ho usato tre volte la stessa parola in due righe. Perché c’è qualcosa di triste nella superficialità con al quale si tratta la passione per uno sport, i suoi significati e le vicende che lo trascendono.

Non importa davvero la destinazione di queste due atlete, se falliranno, se avranno successo. Dovrebbe importare a tutti, comprendere fino in fondo la portata di quello che è appena accaduto in Portogallo.
Il Benfica non è una squadra di calcio, è una fede. Una religione, nel senso letterale e stringente del termine.
Sapete come si chiamo lo stadio?, “Lo Stadio della Luce”, il suo soprannome tra i tifosi è “La Cattedrale”. La maglia che indossano è un indumento sacro: “Manto Sagrado”, la tunica sacra più o meno. Se avete già sentito questa parola, probabilmente l’avete associata alla maglia di un’altra squadra di calcio: Il Flamengo.

Il Benfica è una polisportiva. Le ragazze che giocano a hockey su pista, hanno la stessa dignità, a loro è dovuta la stessa devozione che viene dispensata verso i giocatori di calcio. Perché indossano quella maglia, difendono quei colori. Baciare la maglia, gesto piuttosto diffuso in tanti campionati, in quel contesto diventa un gesto il cui significato travalica la semplice sfera sportiva.


Non trovate questo genere di attaccamento ai colori, così facilmente. Non è il Boca ad esempio, ma c’è per il San Lorenzo. Vorrei riuscire a raccontare con le parole più adatte quanto queste squadre trascendano il mero ambito sportivo. Spero di convincere Edu Villalva a farlo, nel caso m’accontento del commissario Montalbano, in versione sempre argentina.
Queste sono squadre che diventano un’idea. Trascendono lo sport e s’impossessano di parti della vita dei loro tifosi che alla fine confondono i confini e forse, li elidono per sempre.

Non mi credete? Quelli con qualche capello bianco di troppo in testa, oppure senza troppi capelli, ricordano certamente il nome di Frank Rijkaard. Dopo due stagioni strepitose all’Ajax stava giocando nello Sporting Lisbona, l’altra squadra della capitale lusitana. Adriano Galliani e Ariedo Braida volano in Portogallo per regalare il terzo olandese ad Arrigo Sacchi. Quando la notizia della cessione del giocatore si sparge tra i tifosi dello Sporting, un centinaio di questi prendono d’assalto la sede del club. Braida con il contratto nascosto nelle mutande scappa dai tifosi inferociti che avevano appena sfondato a calci la porta della sala riunioni. Non si trattava nemmeno del Benfica.

“Quelle però sono due giocatrici di futsal”. Ecco, questa è la banalizzazione mista ad ignoranza capace di uccidere il calcio a 5 in Italia ma che ucciderebbe qualsiasi sport in qualsiasi angolo del mondo. Il Benfica non cede i suoi migliori giocatori, non esiste una cifra. I suoi migliori atleti vanno trattenuti per continuare a vincere. Non importa che le ragazze abbiamo dominato in maniera assoluta la scena nazionale negli ultimi quattro anni.

Janice e Fifò sono il futuro di una squadra che deve continuare a vincere. Così tuonano i tifosi su twitter. Lo so in Italia, paese di boomer anche al di sotto dei 40, esiste solo facebook. “C’è bisogno che i soci intervengano per cambiare questa dirigenza”, altro cinguettio attaccato alla notizia della partenza dei due giocatori. Sono tifosi veri, non come quelli in Italia composti ancora per la maggior parte da amici, parenti, conoscenti e per le famiglie più numerose, zie e zii e anche un gruppetto di pronipoti.

La lunga intervista di Fifò sul canale ufficiale YouTube (altra piattaforma semisconosciuta nel calcio a 5 nostrano) del Benfica è piena di lacrime. Perché quel club non è una casa o una famiglia, come amano ripetere troppe giocatrici senza comprendere davvero il senso delle parole. Il Benfica è una condizione di vita. Gli osservatori più attenti noteranno che per riprendere quella intervista sono state impiegate 4 telecamere, più che nella finale scudetto della serie a maschile e non è nemmeno andata in onda a mezzanotte.

https://youtu.be/9mQGyN1JB5A

L’abisso d’interesse tra i due universi del calcio a 5 lo possiamo misurare anche semplicemente prestando attenzione ad alcuni numeri di facile comprensione. Fifò da sola ha nel momento in cui vi scrivo 19.1 mila followers su Instagram. La Divisione Calcio a 5 ne ha solo 28.3 mila. Le campionesse d’Italia del Montesilvano: 1155, il Falconara vincitore della Coppa Italia: 2.666.
Posso asserire senza tema di smentita che da sola Ana Sofia Gonçalves, in termini di comunicazioni vale quanto l’intera disciplina in Italia, come almeno 15 top club messi insieme, come 4 giocatori top italiani.

Ricordo a tutti che le ragazze con l’aquila sul petto, riempivano i palazzetti da 3000 posti pre-pandemia e quando il Covid ha tenuto lontano il pubblico almeno gli spalti erano coperti da lunghi teli con l’enorme stemma del Benfica sopra e gli sponsor istituzionali sotto. Tifosi, quelli che non vengono al palazzetto senza vincoli familiari.

Ines Fernandes che se non sapete chi è, mi vien voglia solo di piangere, ha salutato così Janice: “buon viaggio, porta la felicità nella tua prossima destinazione e ricorda che tutte le strade poi ti riportano al Glorioso”. Una traduzione approssimativa la mia. La parola “glorioso”, con la G maiuscola però ve la riporto così, perché è riferita ad una fede più terrena, quella appunto, del Benfica.
 

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