Forse il nome non importa

Montesilvano Futsal Cup 2021.

Non credo di poterla chiamare normalità, ci somiglia, ha lo stesso suono eppure mi capita di notare dettagli che ne mischiano i piani e confondono i tempi. Le squadre sono qui, l’organizzazione anche, ma non è come l’ultima volta e forse niente lo sarà mai più.

“Io ho lavorato con tuo padre”. Viso scavato, riferimenti logistici giusti e io muto, ma questa del fingersi sordo per non rispondere è una storia che coinvolge il Generale ma la racconto in una occasione diversa da questa. 

La temperatura interna della macchina è livello Alaska d’estate quando però arriva l’inverno. Se l’aria condizionata allarga il buco dell’ozono, l’uso che ne faccio io l’ha già cancellato. Entro al PalaSenna e li dall’ingresso s’arriva direttamente in porta. Letteralmente dietro alla porta. Giocano gli under 11, insomma sempre under qualcosa. Cambio di portiere, però questi bimbi del Marconi hanno una faccia conosciuta, dov’è che li ho visti?

Osservo con attenzione il numero nove, ora non chiedetemi i nomi che io faccio fatica a ricordare. Però ricordo una storia, di egiziani, quartieri di Roma e ‘sti bimbi che avevano una voglia matta di raccontarsi.


La partita va avanti, gli avversari sono più forti e poi all’improvviso cambio del portiere. Entra Alex. Un paio di salvataggi, due uscite sui piedi. Ho come l’impressione di guardare i gesti di un portiere, uno vero anche con i guanti, ma in miniatura, in una versione più piccola. Ha un filo di voce, fa segno che va tutto bene in direzione degli spalti dove ci sono parenti vari e genitori. Gioca solo da un anno Alex, pare sia un gran ballerino e però può giocare, davvero che detto a meno di undici anni vorrei che fosse un augurio e non una maledizione.

M’arriva un messaggio sul telefono, di quelli che finiscono con il farti condividere il dolore. Mentre ne guardo uno crescere di portiere, ne muore uno. Giovane, troppo per dover morire così, in una sola settimana. Trascorsa da quel momento felice del suo matrimonio. Ha il nome della mia di madre, anche se alla fine Gianna e non Giovanna, ma resta così tra chi le lacrime non riesce a versarle come Francesca e chi come Federica, cammina perché a volte perdersi e meglio che ritrovarsi con il dolore. Era la loro compagna di squadra e forse qualcosa in più.

C’è Giulia che m’aspetta al PalaRoma e anche un tot di altre partite e di storie spero, altrimenti vuol dire che questa pandemia s’è portata via tutto quello che mi restava e non è che alla fine resta poi molto. Giulia being Giulia, è come se allargasse il tempo, divaricandolo per farci entrare tutto lo spazio che non abbiamo condiviso ma finisce sempre con  un perentorio: “telefonami, davvero” e “torno per restare di più”. Te l’ha detto anche Sansovini che qui si vive bene.


C’è una Ludovica in campo, indossa una maglia bianca per l’occasione, il due sulla schiena e gioca con i maschi, già. La sua maglia dovrebbe essere neroverde e l’under 13 la sua categoria. Voglio scoprire perché indossa quel numero, perché gioca e insomma com’è che l’è venuto in mente di prendere calci inseguendo un pallone. Ludovica è uno di quei nomi nobili del calcio a cinque femminile, sarà solo assonanza? La ragazzina ci prova, anche a fare un paio di numeri in dribbling sulla fascia, poi finisce però che l’avversario prende quello che capita, spesso tutto insieme. Subiscono venti gol, dura da spiegare, difficile da comprendere. Ma c’è una vita lì fuori che non si ferma dopo venti gol. Continua ad attaccare. Se non stai attento, ti toglie tutto. Si può imparare molto da una simile batosta. Può farvi trovare uno stimolo di sana vendetta, di quella rivalsa puramente sportiva che può tirare fuori il meglio da ciascuno e innescare la spinta competitiva che ci fa crescere. Si può riscattare la sconfitta. Qualunque sconfitta.

Esiste un istante preciso, a cavallo del tramonto. I giapponesi chiamano  kataware-doki, l’ora magica, un istante nel non è più giorno e non è ancora notte. Il mondo sembra sfumare e si può incontrare qualcosa di non propriamente umano. Rosso e giallo, niente luci. Solo il colore del parquet che sbiadisce e poi annerisce. Rumore di ventilatori. La vocina di una bimba con tanti capelli biondi e la testa più piccola del pallone. Gioca con Francesca e alla fine per ricorrere questo pallone si toglie le ciabatte che le danno fastidio e allora a piedi nudi come si gioca, dove s’impara davvero, a giocare.
Poi resta sola con la palla e s’aggira davanti a me che resto seduto a guardarla, prendere a calci quel pallone troppo grande.
 

Ogni tanto uno sguardo, come se dovessi essere io a fare la prima mossa. Sono belli i bambini degli altri, perché sono appunto, responsabilità di altri. Lei s’aspetta che io faccia la cosa giusta. Alzarmi, farmi dare il pallone e giocare con lei in questo enorme palazzetto che ora è tutto suo. Mi dice il suo nome come se non fosse importante. Quello che conta è che risponda ai suoi “perché?”. Sono abbastanza bravo in questo e forse anche convincente. La palla rotola e lei rotola con la palla.

Guardala giocare, rotolarsi sul parquet a piedi nudi e nerissimi, cosa che faccio ancora oggi anche io, mi fa tornare alla mente una parola giapponese: Musubi.

”Musubi è il vecchio modo con cui i giapponesi chiamavamo un loro Dio locale. Questa parola ha un significato profondo, intrecciare i fili è Musubi. I legami tra le persone sono Musubi. Lo scorrere del tempo è Musubi. C’è li chi crea quelle corde intrecciate perché rappresentano una delle forme del Dio stesso e ritraggono il flusso del tempo. Convergono e prendono forma, si intrecciano e si aggrovigliano. A volte si sciolgono, a volte si spezzano, per poi legarsi nuovamente. Questo è Musubi, questo è il tempo.”

Quella bimba è Musubi, senza avere il dovere di esserlo, senza sapere di esserlo. Per me, certamente. Forse anche per Francesca e il dolore che si porta dentro, per quello che Federica porta sul viso e nel cuore. I bambini sono così, portano la magia. Per comprenderla basta abbassarsi un po’ per guardagli negli occhi e giocare con loro.

S’accendono le luci, arrivano le squadre. Riprende il flusso normale del tempo, l’ora magica è passata. Per chi l’ha vissuta, ecco ora qualcosa ha un senso, altre cose meno. Posso prendere un respiro profondo, la notte è arrivata.
Fischio.
Si gioca.

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