Gli eroi che non t’aspetti

La mattina è quel momento in cui se la sveglia suona, ho bisogno di almeno dieci minuti per realizzare di essere vivo. Trenta per riprendere coscienza. C’è un silenzio strano, dov’è il suono della sveglia? Huston, abbiamo un problema.


Cerco a tentoni il telefono, è appoggiato sulla sedia. Lo schermo, spento. Rivolto nella mia direzione, verso il letto. William Gibson avrebbe scritto qualcosa tipo: “acceso su un canale morto”, oppure era il cielo. Lampeggia l’icona della batteria scarica nel mezzo del telefono. Non è un buon inizio.

“Mi sveglio con il piede sinistro”, ma non son sicuro sia quello giusto.
Quella che è appena passata è la notte nella quale i Clippers hanno fatto una cosa non da Clippers. Hanno vinto la quarta partita di fila ribaltando il 2-0 nella serie con Utah, vincendone due di fila senza Kawhii Leonard e conquistando così le finali di conference. I Sixsters hanno allungato la serie a gara 7. A quanto pare il sonno mi ha privato nuovamente dello spettacolo dell’NBA.


Dalla luce che entra dalla finestra semiaperta, deduco che è troppo tardi per fare colazione ma è anche troppo presto per pranzare, quindi decido di non fare nessuna delle due cose.

Cerco di scrollarmi via il sonno, la faccia con il segno del cuscino e quella sensazione che abbiamo dormito troppo e troppo poco allo stesso tempo. Stomaco vuoto, telefono al cinquanta per cento. Mauro mi aspetta in macchina, si parte. L’aria condizionata mi indice a credere che tra circa 12 ore non inizierà l’estate. Provo a tendere l’orecchio in attesa di sentire il richiamo dei pinguini in marcia. La macchina si mangia l’asfalto, quello si rovente.

Si conversa di sport, di donne, di ciò che si è perso e di ciò che si vuole ottenere. Di vita buttata e di vita vissuta, di quote bloccate e di quei 5 euro che, con un po’ di coraggio in più, avrei scaricato su una causa persa. Alla fine sono sempre le migliori. Se mi ascolto parlare di Falconara-Montesilvano penso a gara 3. Un semplice concetto di spazio che si muta dentro al tempo. Montesilvano-Falconara è una intuizione di Stephen Hawking, un paradosso spazio temporale di due ore. Fermi in macchina.

Quel tempo diverso è attraversato da un traffico infinito, i dischi in vinile, i soldi buttati e quella bottiglietta d’acqua mancata. L’omino della protezione civile tende una bottiglietta gelata, apro il finestrino e scopro che questa macchina cambia anche le stagioni. Mentre m’appresto ad afferrarla ecco che un autoarticolato, mi taglia fuori, già come nel basket. Anche quando si sta fermi in autostrada può accadere qualcosa di interessante. Le due ore s’allungano e diventano più di tre. Alla fine del viaggio sostituiamo l’aria condizionata  con la calura delle località adriatiche.

Il muro della ferrovia, sembra il muro di una prigione in una di quelle serie che s’incrociano di notte su quel canali che vivacchiano sulle piattaforme satellitari. Troviamo un sottopasso che sembra uscito da un docu-film altrettanto inquietante. Alla fine della tana del bianconiglio, trovo però spritz. Non scalfisce l’aria calda, però è già qualcosa.

Il tempo ordinario scandisce quello emotivo, tempo di raggiungere la nostra meta. Fermata addizionale. Birra e pizza prima che inizi la partita, perché ci sono dei rituali da iniziare, altri da creare.

Fa un rumore strano questo vecchio hangar. C’è l’odore dell’afa che si mischia al sudore, ai dopobarba scadenti, ai profumi in saldo.

Osservo le giocatrici scendere in campo. Vedo due squadre, due riscaldamenti diversi, due attitudini e preparazione alla partita agli antipodi.

Vedo volti tesi, sorrisi tirati e sguardi preoccupati. Qualcuno ci chiede: “Non avete problemi a stare vicino ai tifosi del Montesilvano?”. La risposta professionale è “no”, però ne ho pensata un’altra che non ho potuto dire.

Matematica, numeri, quelli arabi, sport. Specialmente in quello europeo, ogni numero ha un valore ben preciso, rappresentano una idea, un gesto atletico. Se ti riferiscono che il numero 7 ed il numero 11 non sono in campo, c’è un problema.

Questo vale in qualsiasi squadra. Non c’è nemmeno bisogno di portare esempi. Sai già che quei due numeri hanno un valore, elevato. Però la partita inizia lo stesso.

Mi soffermo ad osservare il pubblico, dannazione dovrei imparare a prendere qualche appunto, perché mi distraggo e poi temo di dimenticare qualcosa. Ecco: “spalti assiepati, pubblico delle grandi occasioni”, quasi. Mi mancava vedere così tanta gente durante una partita ma racconterei solo una parte del mio pensiero, quasi una mezza verità.

Ho una foto profilo sui social, con indosso una maglia, del Pescara. Ho vissuto un pezzo di ZemanLandia. Ogni volta che ne parlo Mauro impazzisce, per lui il Pescara esiste sono in funzione del “Profeta”, Giovanni Galeone. Se avete mai vissuto quelle epiche cavalcate sportive potete apprezzare “l’ignoranza sportiva” delle tifoserie, quella che scorre sugli spalti, e prende tutti, come una febbre. No, dopo una pandemia non è l’esempio migliore.

Onere quindi al Falconara ed a tutta la città. Si stringe intorno ad una causa sportiva, per la quale spendi tempo, denaro e che ti porta solo la felicità, Solo la felicità, non mi sembra poco.
Fischio d’inizio. Due gol in 4 minuti, il portiere di movimento, la paura si prende una parte del campo, mentre l’altra si riempi di gioia. Taty esulta ma la sua è una dedica speciale.



C’è chi sta vincendo, chi sta perdendo e chi, comunque vada, ha già perso qualcosa. Un 2-0 dopo 4 minuti pesa come un macigno. I fischi del pubblico quando non sei abituata nemmeno ad avere più di 10 persone sugli spalti, forse, fanno anche più male. Soprattutto se non riesci ad incanalare la frustrazione. I fischi, gli sfottò. Mi fa un po’ strano all’inizio, almeno ma è giusto così.

Lo sport è dei tifosi: le rivalità, il campanilismo, la birra ed i tamburi. Senza tutto questo, è solo business. Ripongo la reflex. Quando guardi una partita da un obbiettivo, sei così concentrato a cercare uno scatto che abbia senso che perdi completamente di vista ciò che stai fotografando. Fai delle foto che possano raccontare il tuo punto di vista a qualcun altro, ma non è davvero il tuo punto di vista. L’obbiettivo della macchinetta è un filtro, per questa partita ho deciso di farne a meno.

Ho captato gli sguardi, la paura, il nervosismo. C’è chi lotta e chi piano piano ci rinuncia. La sirena suona e vorrei essere negli spogliatoi per cercare di capire come si evolverà la partita. Non posso far altro che immaginare discorsi, le litigate, i chiarimenti, chi ammette le proprie colpe.

Si rientra in campo. Il risultato non è cambiato, il tabellone segna due a zero, venti minuti, alla rovescia. Se manca la qualità del 7 e dell’11, bisogna spostare tutto sull’esperienza e sul fattore psicologico. Prendi un numero all’undici, uno al sette e vedi cosa esce. Diciassette.

Lotta in mezzo al campo dal primo minuto, due gol di scarto non le fanno paura. Lì dove non arriva la tecnica, arriva la voglia di vincere. Si porta la palla sul piede forte e calcia ad incrociare. Due a uno. Passano una manciata di secondi, un tiro al volo con il piede debole, trasforma i fischi in silenzio. Sento l’odore di quel silenzio, come quello della paura.

C’è chi dice che le finali sono tutte brutte, che la paura rovina lo spettacolo, questa però non è una di quelle. Un 2-2 che forse, riesce a dare un senso a questo viaggio.

Forse quel piede sinistro non era proprio così sbagliato. La regina, del trash talking, i sorrisetti, il gomito sulla schiena e le parole, anche quelle di troppo. T’accorgi che la partita è finita quando i numeri, quelli importanti smettono di guardare il pallone e fissano l’avversario. Allora, proprio allora, il pubblico diventa un’arma a doppio taglio.

Tutta quell’energia, dagli spalti fomenta la tua rabbia agonistica. Quasi non ti fa pensare e la partita, sfugge sullo sfondo della tuo gesto agonistico.
Quel gol di Ersilia è solo diretta conseguenza di una catena d’avvenimenti che hanno condotto la partita lontano dal Falconara. Quando Rafa manca sotto rete una conclusione che sembra all’apparenza facile, si palesa un momento che condensa un dramma sportivo.

Guidotti, Xhaxho, D’Incecco. Se mi avessero descritto i gol, prima della partita, non ci avrei creduto; se avessi avuto un po’ più di coraggio, non avrei ancora quella banconota da cinque nel portafoglio.

La sirena suona. Gli sportivi cessano di essere sportivi e riprendono le loro attività da uomini.
C’è chi piange, chi esulta con le mani al cielo e chi fa entrambe le cose. Qualcuno, s’è tenuto dentro qualcosa di più grande, per quell’ora e mezza interminabile. Ha bisogno del suo spazio per elaborarla.
Chi ha guidato la rimonta è la prima a staccarsi dai festeggiamenti, è la prima a spostare l’attenzione dalla coppa appena vinta, a qualcuno che ha perso altro. Alessia, questo ti fa onore.

Coriandoli, foto tipo quelle ai matrimoni, la coppa piena di baci che nemmeno ci spaventa un virus.

Il ritorno a casa è breve, i ricordi sostituiscono la musica.
Montesilvano, Chelsea, Clippers, Virtus Bologna. Ci dev’essere uno schema in questo 2021, forse un complotto dei centri di scommesse per far vincere chi non ha i favori del pronostico.
Questa notte Milwaukee affronta Brooklyn in gara 7, domani gli Hawks di Gallinari si giocano a Philadelphia l’accesso alle finali.
Forse ho capito come reinvestire quei 5 euro.

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