La mia sveglia suona presto di domenica mattina. Non dovrebbe, c’è qualche ragione che non ricordo esattamente almeno nei primi trenta secondi dalla ripresa del mio io cosciente. Da qualche parte, qualcuno ha già tutto pronto ed usa il tempo per fare una ricca colazione, qualcuno saluta i bimbi che dormono ancora. Altri si chiudono la porta alle spalle dimenticando dentro i documenti e le chiavi di casa. Poi ci sono io, che preparo il borsone all’ultimo istante utile. Esco e rientro in casa 3 volte, la prima per le scarpe, la seconda per il pranzo, la terza boh, forse per ricevere l’applauso del pubblico. Arrivo poi al bancomat. Lo fisso tra lo stordito e l’incredulo. Ho dimenticato il codice pin che ho inserito senza problemi negli ultimi 3 anni. Capisce che forse ho un po’ d’ansia.
L’incontro è al parcheggio del Megalò. Un centro commerciale enorme, sull’argine di un fiume che straripa più spesso di un sedicenne alla prima sbronza. Trovo già li Skywalker e Quercione, il primo alto e magro con l’aria un po da surfista, l’altro solido e robusto decisamente in linea con il suo soprannome. Alla spicciolata arrivano Mumak e Baldo. I due conoscitori del gioco, quelli che il football lo seguono, lo guardano, lo studiano, lo mangiano. Baldo sempre in forma, racchiuso tra cappello dei Ravens in testa e tatuaggi su gran parte del corpo. Probabilmente è l’unico di noi che sembra diretto ad una partita di Football e non alla Sagra dell’arrosto.
Il tempo dei saluti e qualche convenevole. Ecco che s’aggiungono in tandem Wazowski e BlackOut. Waso è il giovane della rosa, l’abbiamo visto iniziare a giocare con l’under e da sempre è un duro. Un compatto cingolato che con la palla in mano guadagna metri a suon di impatti. BlackOut è un veterano tra i veterani, superati i 45 anni da un po’. In campo dimostra ancora di essere fra quelli più allenati ed informa. L’aspetto invece tradisce gli anni che ha, cosa normale, se non dimostrasse quest’età da quando lo conosco, e ci siamo conosciuti prima che Game of Thrones fosse trasmessa negli States. All’appello manca solo Cicoria che è quello che si è chiuso fuori casa. Verrà perdonato per il ritardo. Nessun pullman o pulmino all’orizzonte, l’abitudine a viaggiare così è dura a morire. Bagagli quindi sistemati in due automobili, così come tutti i giocatori e anche le maglie. In partenza per questa versione ridotta di Football americano.
Nella macchina guidata da Baldo il viaggio scorre liscio, davanti, si parla di Figli e di Chieti, argomenti che non catturano particolarmente la mia attenzione. Guardo Cicoria seduto dietro insieme a me, altrettanto annoiato. Scorre un panorama di mezze montagne, mezze colline, insomma di una terra di mezzo. Appena percepisco uno sbadiglio contagiare Cicoria, scatta la competizione. Gara di “canestri” che neanche T-mac e Arenes nell’all star game del 2005. Un tentativo di spezzarsi il collo e uno di vincere il sonno, alternano impazzando, uno dopo l’altro. Possibile un solo risultato. La sfida la vince Cicoria, la lunga chioma lo avvolge in un setoso abbraccio che concilia il sonno. Mestamente sono costretto ad incassare la prima sconfitta di giornata. Incosciente della sua vittoria, mentre cerca di darsi un tono diverso dal quello post sonno rem, Cicoria si tira su per avvicinarsi al posto di guida. Prova ad inserirsi nella conversazione. ma sa di figli e di Chieti talmente poco che fa difficoltà anche a capire quando annuire.
Forse per l’avvicinarsi temporale e spaziale alla partita, forse perché i due davanti si accorgono della mia espressione vuota e rassegnata, forse per la resurrezione del capellone addormentato, insomma un sacco di forse. Il discorso alla fine si sposta sul football. Qualche indiscrezione sugli avversari, qualche quesito tattico, alcune possibili chiavi di lettura per la partita. Il discorso sembra virare nettamente verso un virtuoso vortice di agonismo e serietà, arriva qualche dubbio sul regolamento. Le differenza tra il 5-man e il football giocato fino ad ora dai quattro viaggiatori preoccupano un po’ Quercione. Un dubbio in particolare lo attanaglia più di altri. Quanto durerà una partita? Domanda banale solo all’apparenza. Non lo è per chi sa di avere una condizione atletica rivedibile e nessuna possibilità di essere sostituito.
Per sua fortuna in macchina ci sono io. Che di questa spedizione sono organizzatore in quanto parte attiva della dirigenza. Vedo gli occhi voltarsi nella mia direzione che nemmeno Linda Blair (Esorcista, 1973 per i non cinefili). I miei tre compagni attendono un chiarimento, per un tempo misurabile in birre scolate. Arriva, nel tempo che impiega la schiuma a sparire dal bicchiere, la risposta con un laconico: “e io che cazzo ne so? ma mi hai visto?”.
Dopo più di 3 ore di viaggio, finalmente l’occhio scorge un infinito mare di case e palazzi, sono già stato a Caserta, ma come al mio solito, non ricordo assolutamente nulla. La strada si infila tra le case, le nuvole coprono il sole, rendendo i colori dei palazzi ancora più scoloriti. Sembra che una pellicola di malinconia e ricordi ricopra ogni cosa, questo lato di Caserta mi ricorda il quartiere in cui sono cresciuto.
Il primo impatto con l’impianto sportivo è tra il nostalgico ed il romantico, per tutti. Lunghi palazzoni, di quel colore che ricorda il contesto urbano e popolare intorno al campo di casa. Quello in cui abbiamo trascorso tante stagioni insieme. Senza però il cavallo sul balcone, almeno credo. Manca anche l’odore del sugo, della carne alla brace e insomma questo è l’ennesimo mattone di un castello di ricordi che contribuisce a “smarmellare” un cervello già frullato da viaggio e ansia pre gara.
Ad accoglierci ci sono Notar e Queratolo, gli ultimi due in lista gara. Loro hanno qualcosa di simile, non ho ancora capito se nell’aspetto o negli atteggiamenti, ma danno l’impressione di essere cugini. Notar ha più peso, più barba, più grigio tra i capelli. L’altro ha capelli arruffati e piedi veloci. Contando che quest’ultimo si è infortunato nell’allenamento prima della partenza e che Mumak ha deciso di fare solo da Coach, a scendere in campo saremo otto. Si gioca in cinque in attacco e in cinque in difesa. Qualcuno dovrà fare doppio ruolo, non una grande notizia per i nostri attempati involucri biologici. Lo sapevamo già prima di partire, quindi bene così.
Come sempre la perlustrazione del campo di gara, parte dallo spogliatoio. Una serie di prefabbricati stile container, che devono aver costruito da poco. L’odore di nuovo delle panche si mischia a quello di umidità proveniente dalle docce. Caratteristico il bagno senza porta, che regala al team un momento di unione davvero intimo.
Prima di giocare c’è da attendere la sfida tra i padroni di casa e i Bufali di Latina. Tra le due squadre c’è qualche sottile differenza numerica. Sembra di vedere le infinite armate Persiani contro i 300 spartani. La partita è comunque equilibrata, prosegue come in un sottofondo, mentre noi, i Maialini Pescaresi ci bardiamo. Per prepararci al tanto atteso, ritorno in campo.
I primi avversari di giornata si fanno attendere. I Goblins, cugini lancianesi, arrivano a ridosso dell’inizio della partita. Tanti volti sono davvero familiari, fratelli con cui si è diviso un anno di football duro e stancante, L’ultima vera partita per alcuni Specckini, e io c’ero, è stata con quella divisa e con quei compagni. Ora sono tornati ad essere, avversari da battere.
Al momento di scegliere un nome per la squadra, ho pensato che ci servisse qualcosa per ricordarci che siamo in campo per gioco, e ci aiutasse a non prenderci troppo sul serio ed il nome del Maiale di compagnia di BigSunday: Speck, mi sembrava perfetto, cosa potrebbe incarnare il nostro spirito goliardico e competitivo più di un grosso maiale nero che cammina stanco in giardino?
Negli ultimi istanti di attesa arriva una notizia. I Bufali sono usciti sconfitti dalla partita, e 3 di loro sono stati costretti ad alzare bandiera bianca. Sono troppo pochi ora per continuare il torneo, quindi chi vincerà tra Speck e Goblins, avrà la seconda vittoria, a tavolino e l’automatica qualificazioni alle fasi finali di Firenze. Ok, tralasciando il meccanismo di questo torneo, che io non ho capito e non quindi non posso certo spiegarvi, quello che so è che TUTTI eravamo d’accordo che vincere ed evitare di giocare due partite in uno stesso giorno, fosse la soluzione ideale per la nostra salute.
Ancor più decisi a portare a casa il risultato, scendiamo in campo. Inizia il riscaldamento, volti tesi, sguardi determinati. Qualcuno con l’inequivocabile, faccia da sonno.Quercione non riesce a spezzare il fiato, io mi muovo sincopato. Fingo tranquillità così male, che potrei recitare nella prossima stagione di Carabinieri. BlackOut ha la stessa espressione di sempre, Skywalker mostra tutta la sua serenità lanciando “pallacce” scomode, con la rigidità di un palo della luce. Insomma tutto nella norma, si attende con ansia la prima azione, per spegnere i pensieri, le paure e le preoccupazioni dentro e fuori dal campo e passare un’ora: liberi.
La partita finisce, si galleggia ancora un po’ in quello stato di benessere e spensieratezza, è arrivata una vittoria, con qualche sbavatura, ma convincente. Anche alla nostra età ci ricordiamo ancora come si fa. Tutto sembra perfetto, poi come un tuono che squarcia il cielo sereno arriva una voce: “L’ATTACCO IN CAMPO, TUTTI CASCO IN TESTA”, “DOVE SONO I BUFALI??”
I deboli neuroni degli atleti pescaresi iniziano a realizzare qualcosa di sconvolgente. I Bufali, gli avversari che avevano dato forfait si stanno schierando, bisogna tornare in campo e bisogna farlo subito.
I miei occhi si trasformano in quelli di Bambi che cerca la madre dopo la fuga dai cacciatori, per fortuna questo non è uno spietato film della Disney. Gli arbitri comunicano che è solo un formalismo i tre bufali rimasti devono schierarsi insieme a cinque maiali per dare il via ad una gara valida e poi ritirarsi per mancanza di giocatori, formalismo che eviterà alla società Laziale una multa, ma che ha rischiato di provocare alcuni infarti tra le nostre fila.
A questo punto è ufficiale, la prima uscita è andata bene, vinto, si è vinto, più o meno si torna a casa tutti interi. Gli organizzatori ci hanno offerto una pizza a testa, Wazowski ne ha avute 3, meritate. Ho segnato anche io, non credo si possa chiedere più di questo ad una partita di Football.
Dal vostro corrispondente, occasionale, indecentemente sobrio Sgraus, è tutto, almeno credo.