Il PalaRoma con i muri dipinti di fresco, senza piccioni a nidificare dentro. Il tampone da eseguire anche se ho fatto il vaccino. La saletta hospitality e volevo subito provare lo schermo grande collegandoci qualcosa.
Le mascherine lasciano liberi sono gli occhi. A pensarci bene, bastano solo quelli. Agnese indossa la maglia numero sette. Ha gli occhi blu, tipo “bluissimi” come direbbero i bimbi. Così blu che sembrano aver invaso tutto il viso.
Sono venuto a veder giocare Lara.
Negli spogliatori mentre si cambia c’è un laptop acceso. Un sacco di facce sullo schermo di quella che sembra una chiamata affollatissima. C’era un tempo in cui tutto questo era appannaggio dei videogamer, ora è la normalità. L’università non aspetta e finisce che t’insegue con i suoi esami fino a dentro lo spogliatoio, fino ai margini del campo.
Donne che piangono, anche tra primo e secondo tempo. Nell’intervallo delle cose. Nicole, numero nove rosso.
In questi giorni di pianto, incontrollato, di perdite e dolori. Di fine di una vita e di partenze. Giochi che scorrono tutti incollati come le pagine di un diario impastato di lacrime. V’importa sempre tanto, forse troppo.
Al tuo miglior giocatore puoi lasciare la libertà d’estendere la sua immaginazione, attraverso il campo. Per indicarti a te che sei sulla linea laterale, quel traguardo che lei ha già raggiunto, quando tu lo stai ancora soltanto immaginando.
Ci sono donne che travalicano gli anni che hanno, intorno genitori orgogliosi come è giusto che siano. V’è stato fatto un dono prezioso e da quello che riesco a raccontare, l’avete conservato al meglio.
Suonano gli applausi e non distingui quelli: “brave avete vinto” da quelli: “grazie per le emozioni”.
Le stampelle in panchina, grucce. Come quelle alle quali t’aggrappi quando perdi le tue certezze e devi imparare di nuovo a camminare ma con il cuore.
Vorrei sapere fare i disegnetti, ci starebbero ben in un racconto costruito con le parole.
Piange anche un presidente. Forse posso trovare una inesplicabile spiegazione. Mesi chiusi dentro senza abbracci, con la nostra normalità cancellata hanno creato un cumulo d’emozioni profonde e viscerali, pronte ad esplodere senza controllo. Un po’ anche come il gesto dell’ombrello perché alla fine non siamo migliori di com’eravamo.
C’è chi vuol restare vicino al suo sogno, quello che ora dovrà abbandonare perché quel tabellone, lì in alto non mente, dice che è finita ed hai perso.
Vorrei poter rivolgere lo sguardo al campo e immaginare, chi vedrò tra qualche anno, al prossimo livello. Nella categoria superiore. In Serie A, mentre lotta per vincere qualcosa, ma anche lottare e basta.
Numero 3, treccine, spilungona. Un gol da metà campo beffando un portiere avversario disattento. Una seconda rete con una conclusione dalla distanza, di sinistro. Forza pura.
Forse con un filo in più di muscoli, se lavora sulla sua tecnica individuale ancora un po’, forse. Greta. Buona fortuna, non ho fatto in tempo a chiedere se eri tu, proprio tu quella della Coppa Italia che m’hanno detto che qualcuno l’ha già riconosciuto quel talento e quel sinistro divino. Concesso dagli dei.
Il pomeriggio scorre pigro, lento con un dopo pranzo peruviano a colpi di Pisco Sour. C’è chi indossa in panchina scarpe che sono pura arroganza sportiva. La linea laterale torna ad affollarsi d’emozioni, colori e voci. In tre controllano una rete. Qui lungo le banchine del porto a controllare le reti da pesca ci riescono anche i pescatori anziani e mezzi ciechi.
Going Under. Down under. In Australia, lontano. Mi chiedevo ieri notte, come avrei raccontato questi giorni di futsal, così vicini all’estate da odorare di vacanza.
M’è venuta in soccorso una canzone, incontrata per caso.
“Aint’ no angels
just a bunch of thieves
tryin’ to steal some love
so we can sing”
Giovani donne, in campo di Lunedì. Quando non lavorano solo i parrucchieri. “Non ci sono angeli”, ci siete voi. “Solo un gruppo di ladri che cercano di rubare un po’ d’amore. Per poter cantare”.
Eccovi qui, a giocarvi il cuore e anche i legamenti. A strappare del tempo e un po’ d’amore al futsal dei grandi. Per mostrare la vostra voglia di giocare.
Grazie Chiara. Ho dovuto chiedere il tuo nome, con indicazioni vaghe del tipo “un dirigente biondo, bionda insomma…” Grazie per il caffè che non ho bevuto. I genti di gentilezza, di quelli gratuiti e inaspettati, restano attaccati al cuore.